Nozione di comunicazione di avvio del procedimento amministrativo
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Come previsto dall’art. 7, comma 1, della Legge. n. 241 del 1990, ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento amministrativo è comunicato, con le modalità previste dall’art. 8 medesima legge, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenire. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento.
Ai sensi del comma 2, resta in ogni caso salva per l’amministrazione procedente la facoltà di adottare, anche prima dell’effettuazione della suddetta comunicazione, dei provvedimenti cautelari.
La comunicazione di avvio è dunque lo strumento attraverso il quale l’amministrazione garantisce ai soggetti interessati la partecipazione al procedimento, informandoli della sua instaurazione.
La partecipazione del privato al procedimento risponde ad una duplice esigenza: in primo luogo ha una funzione difensiva, in quanto consente allo stesso di rappresentare i propri interessi già nel corso del procedimento, in tal modo anticipando un contraddittorio che, altrimenti, avverrebbe solo in sede processuale.
In secondo luogo, la partecipazione del privato al procedimento amministrativo risponde ad una esigenza di natura collaborativa, consentendo a quest’ultimo di fornire nel corso dell’istruttoria tutte le informazioni utili al fine di addivenire ad un corretto contemperamento degli interessi coinvolti.
In questo senso, chiarisce la giurisprudenza, la partecipazione procedimentale è volta alla effettiva e concreta realizzazione dei principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa, predicati dall’art. 97 della Costituzione e, quindi, alla corretta formazione della volontà di provvedere da parte della pubblica amministrazione.
La partecipazione al procedimento è garantita al privato mediante una serie di istituti e facoltà, alcuni di carattere generale, altri invece applicabili solo in casi specifici.
I diritti partecipativi di carattere generale sono indicati dall’art. 10 della Legge 241/1990, secondo il quale ai partecipanti al procedimento deve essere riconosciuto il diritto di prendere visione degli atti di procedimento, salvo alcune eccezioni, nonché la facoltà di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di prendere in considerazione ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento.
Secondo l’opinione dominante, dalla partecipazione procedimentale deve distinguersi la c.d. legittimazione processuale: mentre la prima, infatti, è riconosciuta al fine di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa a tutti i soggetti ed enti i quali, a prescindere dalla sussistenza di un interesse destinato ad essere sacrificato dal provvedimento finale, siano concretamente interessati a fornire un apporto collaborativo all’operato dei pubblici poteri, la seconda è invece riconosciuta solo a coloro i quali siano stati direttamente lesi dal provvedimento finale, ossia ai titolari di un interesse sostanziale e non meramente partecipativo.
Ne consegue, pertanto, che la mera partecipazione nel corso del procedimento di portatori di interessi diffusi, come enti o associazioni, non è di per sé sufficiente ad attribuirgli la legittimazione all’impugnazione, restando questa subordinata ad una posizione differenziata e qualificata.
Di contrario avviso è invece altra parte della dottrina, secondo la quale il procedimento amministrativo è il luogo nel quale vengono rappresentati interessi collettivi e diffusi, e dunque quello nel quale essi acquisiscono dignità processuale. Si deve quindi ritenere che la partecipazione dei portatori di tali interessi, come enti o associazioni, attribuisca agli stessi anche la legittimazione processuale, ossia la facoltà di presentare ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento finale al fine di far valere eventuali vizi di legittimità di cui lo stesso può essere affetto.
Destinatari, modalità, contenuto e termini della comunicazione di avvio del procedimento
I destinatari della comunicazione di avvio del procedimento sono indicati dall’art. 7 ed individuati in coloro i quali sono interessati dal provvedimento.
Secondo la norma citata, in particolare, essi si identificano con i destinatari del provvedimento finale, ovvero coloro verso i quali l’atto è destinato a produrre i propri effetti; con gli interventori necessari, ossia i soggetti che per legge devono intervenire nel corso del procedimento ed, infine, con i potenziali controinteressati, ovvero coloro i quali, diversi dai destinatari diretti dell’atto, possono subire un pregiudizio dall’adozione del provvedimento finale, a condizione che siano individuati o facilmente individuabili.
In ogni caso, indipendentemente dalla ricezione della comunicazione di avvio, l’art. 9 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 consente di intervenire nel corso del procedimento a qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento.
Le modalità ed il contenuto della comunicazione sono disciplinati dal successivo art. 8, secondo il quale l’amministrazione provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento mediante comunicazione personale, salvo che per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa. In tale caso, infatti, è consentito all’amministrazione di provvedere a rendere noti gli elementi che costituiscono il contenuto della comunicazione mediante forme di pubblicità idonee dalla stessa stabilite.
Nei procedimenti ad istanza di parte, d’altra parte, la comunicazione di avvio del procedimento può avvenire anche attraverso l’emissione di una ricevuta nel momento stesso in cui si presenta l’istanza, quando questa contenga tutte le informazioni che costituiscono il contenuto necessario della comunicazione.
In virtù del nuovo articolo 18 bis della Legge n. 241 del 1990, infatti, dell’avvenuta presentazione di istanze, segnalazioni o comunicazioni è rilasciata immediatamente, anche in via telematica, una ricevuta, che attesta l’avvenuta presentazione dell’istanza, della segnalazione o della comunicazione ed indica i termini entro i quali l’amministrazione è tenuta, ove previsto, a rispondere, ovvero entro i quali il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento dell’istanza. Se la ricevuta contiene le informazioni di cui all’art. 8, essa costituisce comunicazione di avvio del procedimento.
Come previsto dall’art. 8 della Legge n. 241 del 1990, nella comunicazione devono essere indicati: l’amministrazione competente; l’oggetto del procedimento promosso; l’ufficio e la persona responsabile del procedimento: la data entro la quale deve concludersi il procedimento ed i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione; la data di presentazione della relativa istanza, nel caso si tratti di procedimento ad istanza di parte; l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti.
Non tutte la mancanze di cui può essere affetta la comunicazione di avvio del procedimento, tuttavia, ne determinano l’annullabilità e la conseguente invalidità derivata del provvedimento conclusivo del procedimento.
In linea di massima, la giurisprudenza ha affermato che la mancanza di alcuno degli elementi informativi indicati non comporta inevitabilmente l’illegittimità del provvedimento finale qualora il privato, avuta comunque conoscenza del procedimento, possa attivarsi al fine di acquisire le informazioni che siano state omesse.
Quanto detto vale, in particolare, per la mancata comunicazione dell’unità organizzativa o del responsabile del procedimento, ovvero per la mancata comunicazione dei rimedi esperibili. Tali omissioni costituiscono, dunque, mere irregolarità che, come tali, non determinano l’invalidità del provvedimento.
Diversamente avviene, invece, per la mancata indicazione dell’oggetto del procedimento, la cui comunicazione, si dice, è essenziale al fine di consentire l’esplicazione dell’attività collaborativa e difensiva del privato.
In ogni caso, come affermato dal secondo comma dell’art. 21 octies della I. n. 241 del 1990, la mancanza della comunicazione non comporta l’annullabilità del provvedimento finale, ove la p.a. sia in grado di dimostrare in giudizio che il contenuto del provvedimento stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Con riguardo infine al termine entro il quale tale comunicazione deve essere effettuata, nel silenzio della legge, soccorre la giurisprudenza, secondo la quale essa deve essere data entro un congruo termine prima dell’adozione del provvedimento finale, al fine di consentire una piena partecipazione al procedimento, pena l’illegittimità del provvedimento finale.
Le eccezioni all’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento
La legge e la giurisprudenza individuano una serie di ipotesi nelle quali deve essere escluso l’obbligo di comunicazione.
In primo luogo, l’art. 7 della L. 241/1990 esclude la sussistenza del predetto obbligo nel caso in cui sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento.
La giurisprudenza ha individuato una serie di ipotesi in cui l’urgenza deve considerarsi presunta, ossia in re ipsa nella natura del provvedimento che l’amministrazione intende emanare.
Ciò avviene, in particolare, nel caso di provvedimenti urgenti e contingibili emessi dal sindaco, nei casi di occupazione d’urgenza nell’ambito delle procedure espropriative, con riguardo alle ordinanze di demolizione degli abusi edilizi, ovvero in presenza di provvedimenti adottati dal prefetto in applicazione del Testo Unico sulle leggi di pubblica sicurezza.
Al di fuori delle ipotesi di urgenza presunta, la giurisprudenza ritiene necessaria la presenza di un’urgenza qualificata, tale cioè da non consentire l’adempimento dell’obbligo di comunicazione senza la compromissione dell’interesse pubblico al quale il provvedimento finale è diretto. Al fine di sottrarsi all’obbligo di comunicazione, dunque, l’amministrazione dovrà provvedere ad indicare nella motivazione del provvedimento finale le predette ragioni di urgenza.
L’art. 7, comma 2, d’altra parte, fa salva per l’amministrazione la possibilità di adottare, prima della comunicazione di avvio del procedimento, un provvedimento cautelare. La deroga si spiega per il fatto che il provvedimento cautelare è di per sé caratterizzato dalle ragioni di urgenza che giustificano l’omissione della comunicazione.
Un’ulteriore esclusione dell’obbligo di comunicazione è prevista nell’art. 13 della I. n. 241 del 1990 con riferimento all’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione.
Secondo l’opinione prevalente, la ragione per la quale tali provvedimenti sono esclusi dall’obbligo di comunicazione è da ricercare nella sussistenza di norme speciali, le quali garantiscono con riguardo a tali atti specifiche forme di partecipazione.
Per tale interpretazione, dunque, la norma vuole evitare duplicazioni di forme partecipative già previste da disposizioni speciali.
Sulla base di tale considerazione, quindi, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che l’eccezione all’obbligo di comunicazione potrebbe operare solo ove sussistano disposizioni speciali che dettino apposite regole partecipative e pubblicitarie; in caso contrario, invece, esso dovrebbe permanere.
Tale interpretazione si fonda essenzialmente sulla considerazione che i procedimenti indicati, stante la loro particolare complessità e la rilevanza degli interessi che coinvolgono, necessitano più di altri di un apporto collaborativo da parte del privato.
Dall’art. 13, poi, deriva un’altra esclusione dell’obbligo di comunicazione con riferimento ai procedimenti tributari.
Si ritiene che la ratio di tale esclusione sia da ricercare nella peculiare struttura del procedimento tributario, in cui esiste un solo soggetto interessato, identificato nel soggetto passivo d’imposta.