I debiti di valuta
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I debiti di valuta sono obbligazioni pecuniarie che hanno per oggetto la consegna di una data quantità di danaro. Può trattarsi del prezzo di una bene oggetto di compravendita, della restituzione di una somma ricevuta in prestito o della retribuzione di una prestazione lavorativa ecc.
I debiti di valuta sono adempiuti con moneta avente corso legale nello Stato al momento del pagamento (art. 1277 comma 1° cod. civ.). Se, tra il momento in cui il debito è sorto e quello del pagamento, è cambiata la moneta avente corso legale (come è accaduto nel passaggio all’euro ), il debito è adempiuto nella nuova moneta ragguagliata al valore della prima (art. 1277 comma 2°).
Se nell’obbligazione è stata dedotta moneta estera, il debitore che paga in Italia ha facoltà di adempiere sia nella moneta estera sia nella corrispondente quantità di moneta italiana (art. 1278), salvo che la moneta estera non fosse stata indicata con la clausola “effettivo” (art. 1279).
A norma del Codice Civile l’obbligazione pecuniaria è esattamente adempiuta solo con moneta: il pagamento mediante assegno, bancario o circolare, è datio in solutum, che il creditore può rifiutare. Si ritiene tuttavia che non possa essere rifiutato quando il rifiuto sia contrario alla buona fede, come nel caso in cui il creditore avesse in precedenza accettato pagamenti per assegni da quel debitore.
Va inoltre considerata la normativa volta a contrastare il riciclaggio di denaro di provenienza illecita o a contrastare i fenomeni di evasione fiscale, per cui oltre determinate somme, variate nel corso del tempo, il pagamento con strumenti diversi dal denaro contate è di fatto necessario. Attualmente la soglia di pagamento con denaro contante è fissata in € 2.000,00 e, salvo modificazioni, scenderà ad € 1.000,00 a partire dal 1° gennaio 2022.
A tale riguardo deve altresì essere rammentata la pronuncia della Cassazione Civile a Sezioni Unite secondo cui le obbligazioni pecuniarie possono essere estinte anche con assegno circolare che il creditore può rifiutare solo per giustificato motivo (sentenza n. 18 dicembre 2007, n. 26617)
Il principio nominalistico in materia di debiti di valuta
In materia di debiti di valuta vige il cosiddetto principio nominalistico, secondo cui la moneta agli effetti dell’adempimento, è considerata per il suo valore nominale (art. 1277 comma 1°), non per il suo potere di acquisto, che come noto subisce delle variazioni nel corso del tempo per effetto dell’inflazione.
Ne consegue che l’obbligazione di pagare una certa somma, sorta anni prima alla sua scadenza resta l’obbligazione di pagare quella determinata somma convenuta e ciò anche se nel frattempo il potere di acquisto della moneta, ossia la quantità di beni che si possono acquistare con essa, è fortemente diminuito per effetto della inflazione.
Il principio nominalistico, evidentemente, giova al debitore e nuoce al creditore nei periodi di inflazione in quanto il debitore si libera pagando una somma di danaro che, in termini di reale potere di acquisto, risulta inferiore a quella per cui si era obbligato. Al contrario nei periodi di deflazione (ma è ipotesi solo teorica, essendo la deflazione ossia l’aumento del potere di acquisto della moneta un fenomeno raro) si avvantaggerà il creditore il quale riceverà a distanza di tempo un somma di denaro con un maggior potere di acquisto.
Per contrastare tale fenomeno possono essere previste clausole contrattuali con le quali il creditore si cautela contro il rischio della svalutazione monetaria così ad esempio la clausola “numeri indici” o clausola “rivalutazione Istat” (mi darai tra dieci anni tanti euro quanti corrisponderanno, secondo gli indici di rivalutazione monetaria comunicati dall’Istituto centrale di statistica, ad un milione di oggi); la clausola “oro” (mi darai tanti euro quanti occorrono per comperare la quantità di oro che oggi si compera con un milione); la clausola “valuta pregiata” (tanti euro quanti occorrono per comperare i dollari che oggi si comperano con un milione); la clausola “merci” (che fa riferimento al prezzo corrente di merci, come ad esempio l’olio, ritenute significative del più generale livello dei prezzi).
I debiti di valore
Ai debiti di valuta si contrappongono i debiti i valore. I debiti di valore ricorrono quando una somma di danaro è dovuta non come bene a sé, ma come valore di un altro bene.
.Costituisce debito di valore l’obbligazione di risarcire il danno, ad esempio il danno da fatto illecito (ad esempio il valore del terreno altrui sul quale si è costruito edificando oltre il proprio confine). In tal caso il debitore adempie alla propria obbligazione con la consegna di una somma di danaro che viene però in considerazione quale equivalente economico di un altro bene che si è distrutto o di cui ci si è appropriati.
Da precisare tuttavia che, nel momento in cui il valore viene liquidato, ossia tradotto in una somma di danaro (il giudice, ad esempio, ha condannato il danneggiarne a pagare al danneggiato una data somma di danaro), il debito di valore si trasforma in debito di valuta, ed è retto dai medesimi principi di questo.
La differénza ringuarda solo il periodo antecedente alla liquidazione: se è pronunciata oggi la condanna al risarcimento di un danno cagionato dieci anni or sono, il giudice liquiderà una somma pari al valore odierno, e non al valore di dieci anni fa, del bene distrutto dal danneggiante.
Differenza tra debiti di valuta e debiti di valore
In definitiva può affermarsi che le obbligazioni di valuta hanno ad oggetto fin dall’origine una somma di denaro certa considerata per il suo valore nominale.
Le obbligazioni di valore hanno invece ad oggetto una somma di danaro che deve essere determinata con riferimento ad un valore che è quello del diritto leso.
È un debito di valuta l’obbligazione di pagare ti prezzo di una cosa acquistata o quella di retribuire la prestazione del proprio dipendente: qui l’oggetto dell’obbligazione è la somma di danaro considerata come bene, è il mezzo di scambio.
È un debito di valuta l’obbligazione di risarcire un danno: qui l’oggetto dell’obbligazione è la somma di danaro considerata come equivalente del valore di altro bene.