Registrare telefonate e conversazioni è lecito tranne che in alcuni casi. Le stesse possono essere utilizzate in giudizio ma non possono essere divulgate.
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Capita spesso di chiedersi se sia lecito o meno registrare conversazioni e telefonate al fine di utilizzarle a sostegno della propria difesa.
Immaginiamo due persone che conversano al telefono o in uno specifico luogo: in apparenza potrebbe sembrare piuttosto insolita ed illegittima una pratica del genere, soprattutto se l’interlocutore non ne viene informato.
In più occasioni, la Suprema Corte ha escluso l’illegittimità di tali condotte, precisando che la registrazione altro non è che una mera ripetizione di ciò che la nostra stessa memoria ha già appreso ed immagazzinato.
Qualunque conversazione alla quale abbiamo partecipato, infatti, una volta terminata, diviene oggetto della nostra conoscenza e la sua ripetizione nel tempo altro non è che una forma di documentazione di un fatto realmente accaduto.
Essa non va però confusa con l’intercettazione, che, oltre ad essere effettuata da soggetti terzi ed estranei alla conversazione, necessita altresì dell’autorizzazione da parte di un giudice per le indagini preliminari.
Non sempre effettuare una registrazione di conversazioni è lecito
Innanzitutto, le registrazioni sono legittime quando il soggetto che le effettua partecipa personalmente alla conversazione, anche se il registratore sia stato occultato sulla sua persona o se l’interlocutore non sia stato avvertito.
È invece illecita quando è effettuata da una persona terza ovvero non presente al momento della registrazione: basti pensare, ad esempio, al caso in cui si lasci il registratore in una stanza e poi ci si allontani, con la speranza che il soggetto “intercettato” dica cose che potrebbero tornare utili.
In quanto ai luoghi, è invece da ritenersi illegittima una registrazione effettuata nell’abitazione del soggetto intercettato o presso ad esempio il proprio legale, ciò in virtù della libertà di potersi liberamente esprimere in luoghi cosiddetti propri, dove vige la regola inderogabile della privacy.
In tali casi si risponderebbe quindi del reato di cui all’art. 615 bis c.p. per illecita interferenza nella vita privata altrui.
Utilizzabilità delle registrazioni
Posto che le registrazioni ambientali di conversazioni tra persone e le registrazioni telefoniche possono essere effettuate, coi i limiti visti sopra, la registrazioni stesse possono essere utilizzate validamente nel corso di un processo, sia esso civile che penale.
Tale possibilità trova riscontro nella normativa di riferimento: l’art. 2712 c.c., ad esempio, afferma che “le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche ed, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Secondo l’art. 234 c.p.p. invece “è consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.
Inoltre l’art 24 co.1, lettera f) del Codice della Privacy prevede che il trattamento dei dati personali (quindi anche la voce registrata, in quanto da questa è possibile risalire all’identità della persona), non richiede il consenso dell’interessato se la diffusione avviene “per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale”.
Nel processo penale, una registrazione avvenuta in maniera lecita, costituisce una prova documentale liberamente valutabile dal giudice in quanto particolarmente attendibile, considerate le circostanze e la genuinità delle dichiarazioni rese da un soggetto ignaro di essere registrato.
Nel processo civile rappresenta invece una vera e propria prova precostituita, efficace fino al disconoscimento da parte del soggetto contro il quale sono prodotte.
Il disconoscimento deve però essere “chiaro, circostanziato ed esplicito e concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra la realtà fattuale e quella riprodotta” (Cass. n. 9526/2010 e 1250/2018); se ciò avviene, la registrazione non potrà essere considerata prova, ma una mera presunzione liberamente valutabile dal giudice, soprattutto se corroborata da altri validi elementi.
Divieto di divulgare le registrazioni
Ci sono dei casi in cui, benché vi sia l’elemento della compartecipazione alla conversazione e la registrazione sia stata effettuata in maniera lecita, della stessa ne è vietata la diffusione.
Primo fra tutti il caso in cui debba essere salvaguardato il “segreto d’ufficio” ovvero il “segreto professionale”. Non possono essere utilizzate come prova, ad esempio, le registrazioni avvenute in uffici della p.a. aventi ad oggetto notizie, provvedimenti ed operazioni amministrative, qualora sottoposte appunto a segreto; così come anche le registrazioni effettuate all’interno di uno studio legale, in quanto ciò rappresenterebbe una grave violazione del diritto di difesa e domicilio.
Un caso particolare è invece rappresentato dalle registrazioni effettuate sul luogo di lavoro, ove è richiesto il bilanciamento di numerosi interessi e diritti, con il rischio di ledere il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro, il lavoratore ed i colleghi.
Con la recente sentenza n. 12534/2019, la Cassazione ha affermato che “è legittima la condotta di un lavoratore che registra di nascosto le conversazioni con i colleghi per precostituirsi un mezzo di prova contro il datore in una causa futura o imminente, costituendo essa l’esercizio del diritto di difesa”.
Dunque, anche in virtù di quanto previsto dal menzionato art. 24 co.1, lettera f) del Codice della Privacy, le registrazioni di conversazioni effettuate sul luogo di lavoro sono lecite quando strettamente finalizzate alla difesa di un proprio diritto; per tale ragione, sarebbe illegittimo anche il richiamo disciplinare o il licenziamento del lavoratore sorpreso a registrare conversazioni sul luogo di lavoro.
La Corte ha espressamente ritenuto legittima, ad esempio, la registrazione effettuata dal lavoratore il quale, avendo ricevuto, in plurime occasioni, gravi critiche al proprio operato, temeva di essere divenuto oggetto di mobbing ovvero del dipendente che, proprio per tali pratiche, era stato sottoposto a procedimento disciplinare (cfr. Cass. n. 27424/2014 e n. 11322/2018).
Tuttavia, in ogni caso, la Cassazione non ritiene lecite le registrazioni occulte tra colleghi, effettuate per fini emulativi ovvero di quelle non strettamente connesse alla difesa personale (Cass. n. 11999/2018).
In ultimo, come già accennato, rappresenta una condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 615 bis c.p., quella di chi lascia un registratore acceso in una stanza, confidando che i soggetti ivi presenti, convinti di non essere ascoltati, avviino una conversazione dalla quale potrebbero emergere elementi utili (cfr. Cass. pen. n. 36747/2003, n. 18908/2011, n. 8762/2012).