Nozione e funzione dell’opposizione di terzo
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Come previsto dall’art. 323 c.p.c., l’opposizione di terzo è un mezzo di impugnazione proponibile avverso le sentenze.
Art. 323 c.p.c. Mezzi di impugnazione.
I mezzi per impugnare le sentenze, oltre al regolamento di competenza nei casi previsti dalla legge, sono: l’appello, il ricorso per cassazione, la revocazione e l’opposizione di terzo.
L’opposizione di terzo, in particolare, è un mezzo di impugnazione straordinario in quanto proponibile nonostante l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza. Nel disciplinare l’istituto, infatti, l’art. 404 c.p.c. non prevede alcun termine per la sua proposizione o, comunque, lo assoggetta ad un termine il cui dies a quo è indeterminato, come accade, per esempio, nella revocazione straordinaria.
L’opposizione di terzo, inoltre, si caratterizza per il fatto che, in deroga alla regola generale in tema di legittimazione a proporre l’impugnazione, è proponibile da un terzo e non, invece, da coloro che furono parti nel giudizio.
L’opposizione di terzo è un rimedio facoltativo: tale caratteristica deriva dalla possibilità del terzo di far valere il proprio diritto con altri mezzi, ossia sollevando una eccezione di inopponibilità della sentenza pronunciata inter alios, nel caso in cui si pretenda di fondare su quella sentenza una azione contro di lui, ovvero proponendo una autonoma azione di accertamento intesa a dichiarare tale inopponibilità e la sussistenza del proprio diritto, anche se incompatibile con quanto giudicato nella sentenza.
La facoltatività, invece, non riguarda il più immediato e specifico risultato dell’eliminazione della sentenza, che il terzo può acquisire soltanto con l’opposizione di terzo.
L’opposizione di terzo semplice e quella revocatoria
L’opposizione di terzo si distingue in semplice e revocatoria.
Art. 404 c.p.c. Casi di opposizione di terzo.
Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti.
Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno.
- L’opposizione di terzo semplice è disciplinata dall’art. 404, comma 1, c.p.c., secondo il quale un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato, o comunque esecutiva, pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti.
- L’opposizione di terzo revocatoria è invece presa in considerazione dal secondo comma della medesima norma, per il quale gli aventi causa e i creditori delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno. Presupposto per l’esercizio dell’opposizione di terzo semplice, dunque, è la sussistenza di un pregiudizio per i diritti del terzo.
Sebbene l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato faccia stato solo tra le parti, i loro eredi o aventi causa (art. 2909 c.c.), infatti, poiché i rapporti giuridici tra i soggetti non sempre sono nettamente staccati gli uni dagli altri, è possibile che la pronuncia che influisce sugli uni, influisca in mondo riflesso anche sugli altri, i quali possono restare pregiudicati dalla sua esecuzione, spontanea o forzata. Si pensi, per esempio, all’ipotesi in cui un terzo assuma di essere acquirente pro quota di una cosa che, rivendicata da un soggetto nei confronti di un altro, è stata considerata interamente di proprietà del rivendicante.
Il pregiudizio richiesto dalla norma, ovviamente, può sussistere solo in presenza di un diritto del terzo avente il medesimo oggetto o dipendente dal medesimo titolo dedotto in sentenza e, dunque, in presenza di una connessione oggettiva tra la pretesa del terzo e quella che costituì oggetto del giudizio pregresso. Ecco perché l’opposizione di terzo semplice è considerata come una sorta di intervento tardivo: il terzo, infatti, avrebbe potuto far valere il proprio diritto attraverso un intervento nel corso del processo ma ha scelto, o è stato costretto (perché, per esempio, non aveva avuto prima conoscenza del procedimento), a sostenere le proprie ragioni successivamente, ossia dopo l’emanazione della sentenza passata in giudicato.
L’opposizione di terzo semplice, dunque, spetta a tutti quei terzi i quali non abbiano potuto o voluto far valere i propri diritti con l’intervento perché, ad esempio, siano rimasti all’oscuro della vicenda processuale. Attraverso l’opposizione di terzo, quindi, la legge riconosce loro un rimedio avente la funzione di eliminare il pregiudizio che gli stessi potrebbero subire a seguito dell’incompatibilità del loro diritto rispetto a quello riconosciuto nella sentenza.
Stante la natura di intervento tardivo dall’opposizione di terzo semplice, nell’ipotesi in cui il terzo abbia tentato l’intervento nel corso del processo e questo gli sia stato rifiutato, egli potrà proporre l’opposizione di terzo solo qualora dimostri l’errata applicazione delle norme processuali in tema di intervento. Qualora, infatti, non fosse legittimato ad intervenire non potrebbe neanche proporre l’opposizione.
Attraverso l’opposizione semplice il terzo chiede la rinnovazione del giudizio che si era svolto senza il suo contraddittorio e, conseguentemente, la rimozione della sentenza a lui non opponibile.
L’opposizione di terzo semplice non è invece proponibile da coloro che sono assimilati, sotto il profilo dei limiti soggettivi del giudicato, alle parti processuali, ossia gli eredi e gli aventi causa, intendendosi come tali coloro che acquistano a titolo derivativo il diritto sostanziale da chi è parte del processo dopo la formazione della cosa giudicata. Tali soggetti, infatti, non vantano un diritto autonomo ed incompatibile rispetto a quello oggetto di causa, bensì un diritto da esso dipendente e, dunque, non sono legittimati alla proposizione dell’opposizione di terzo ordinaria. Tale conclusione è supportata dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’affermare un diritto autonomo ed incompatibile col rapporto accertato dalla sentenza costituisce il presupposto indispensabile per la proponibilità dell’opposizione di terzo di cui all’art. 404, comma 1, c.p.c.
Secondo la giurisprudenza, in particolare, è inammissibile l’opposizione di terzo di cui al primo comma dell’art. 404 c.p.c. proposta da coloro che subentrano nella medesima posizione del loro dante causa in un rapporto contrattuale e possono, quindi, avvalersi del rimedio dell’opposizione all’esecuzione; l’opposizione di terzo ordinaria non può essere infatti esperita da tutti coloro che assumano la posizione di terzi rispetto al giudizio in cui è stata emessa la sentenza opposta, ma solo da color che, rivestendo tale qualità, facciano anche valere, in relazione al bene oggetto della controversia, un proprio diritto autonomo e incompatibile con il rapporto giuridico accertato costituito dalla sentenza stessa e siano perciò da essa pregiudicati in un loro diritto pur senza essere soggetti all’effetto del giudicato.
Agli aventi causa e ai creditori delle parti, tuttavia, la legge riconosce il rimedio dell’opposizione di terzo revocatoria, così come previsto dall’art. 404, comma 2, c.p.c. È possibile, infatti, che le parti processuali agiscano in giudizio con dolo o collusione, ossia al solo scopo di creare una situazione giuridica che pregiudichi i diritti di coloro che vantano nei loro confronti una qualche pretesa.
Questa opposizione, proprio perché destinata ad eliminare il pregiudizio che il terzo dovrebbe subire a norma di legge, viene concessa dal legislatore solo nei casi eccezionali di dolo o collusione tra le parti.
Secondo parte della giurisprudenza, per l’esercizio dell’opposizione di terzo revocatoria è sufficiente il possesso della qualità di avente causa o di creditore di una delle parti senza necessità che tale qualità sia anteriore rispetto all’inizio della causa, fermo però restando che entrambe queste qualità devono intendersi con una portata più ristretta rispetto a quella che va loro attribuita nella norma che disciplina l’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901 c.c. In particolare, per creditore deve intendersi solo colui il quale rivesta tale qualità al momento della proposizione dell’opposizione; per aventi causa, invece, devono intendersi i successori a titolo particolare di una delle parti.
Il procedimento di opposizione
Ai sensi dell’art. 404 c.p.c., l’opposizione può essere proposta avverso le sentenze passate in giudicato.
In dottrina e giurisprudenza si discute se il riferimento alle sentenze debba o meno essere inteso in senso letterale.
Secondo parte della dottrina, l’opposizione è proponibile avverso provvedimenti diversi dalle sentenze solo in casi eccezionali.
La Corte costituzionale, invece, ha dichiarato la parziale illegittimità della norma in parola nella parte in cui non ammette l’opposizione di terzo avverso l’ordinanza di convalida dello sfratto, avverso l’ordinanza di rilascio di cui all’art. 30, comma 4, l. n. 392 del 1978, nonché avverso l’ordinanza di sfratto per morosità e quella di convalida di licenza per finita locazione.
Successivamente, la Corte ha ammesso tale impugnazione anche avverso le sentenze del Consiglio di Stato.
La giurisprudenza di legittimità, dal canto suo, esclude che l’opposizione di terzo sia esperibile contro le sentenze della Corte di cassazione, in quanto presupponente il compimento di accertamenti di fatto incompatibili con il giudizio di legittimità. Tale opposizione sarebbe invece in astratto proponibile allorché la Suprema Corte abbia deciso la causa nel merito per non essere necessari ulteriori accertamenti di fatto.
In forza dell’art. 827 c.p.c., inoltre, l’opposizione risulta esperibile anche contro il lodo arbitrale ed, in particolare, a prescindere dall’esecutività o dal passaggio in giudicato del lodo.
Come previsto dall’art. 404 c.p.c., l’opposizione è proponibile solo a condizione che la sentenza sia passata in giudicato. In caso contrario, infatti, il pregiudizio per i diritti del terzo non sarebbe attuale; in secondo luogo, in pendenza del giudizio di secondo grado, il terzo potrebbe far valere i propri diritti in via di intervento ai sensi dell’art. 344 c.p.c., secondo il quale nel giudizio di appello è ammesso solo l’intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione.
La norma, tuttavia, consente il rimedio in parola anche con riguardo alle sentenze che, sebbene non siano ancora passate in giudicato, siano comunque esecutive. Tale estensione è motivata dal fatto che, talvolta, alcune sentenze possono essere eseguite anche qualora non siano ancora passate in giudicato e l’esecuzione può comportare quel pregiudizio per il diritto del terzo che l’art. 404 c.p.c. sancisce quale presupposto indefettibile per la proposizione dell’opposizione.
La legittimazione ad agire spetta a coloro i quali non furono parti nel giudizio che ha dato luogo all’emanazione della sentenza impugnata, mentre l’interesse ad agire sussiste ogni qualvolta il mezzo non sia divenuto inutile o soppiantato da altra forma di tutela giurisdizionale.
Come previsto dall’art. 405, comma 1, c.p.c., l’opposizione è proposta davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, secondo le forme prescritte per il procedimento davanti a lui.
Art. 405 c.p.c. Domanda di opposizione.
L’opposizione è proposta davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza, secondo le forme prescritte per il procedimento davanti a lui.
La citazione deve contenere, oltre agli elementi di cui all’articolo 163, anche l’indicazione della sentenza impugnata e, nel caso del secondo comma dell’articolo precedente, l’indicazione del giorno in cui il terzo è venuto a conoscenza del dolo o della collusione, e della relativa prova.
Secondo la giurisprudenza, in particolare, si tratterebbe di competenza c.d. funzionale, la quale non può essere derogata nemmeno da ragioni di connessione. Inoltre, dal dato che la competenza spetta allo stesso giudice, consegue che l’identità della persona fisica del magistrato nell’una o nell’altra fase del giudizio non costituisce motivo di astensione o di ricusazione ai sensi dell’art. 51, n. 4, c.p.c.
La domanda si propone con citazione, la quale, ai sensi del secondo dell’art. 405 c.p.c., deve contenere, oltre agli elementi di cui all’art. 163 c.p.c., anche l’indicazione della sentenza impugnata e, in caso di dolo o collusione delle parti, l’indicazione del giorno in cui il terzo è venuto a conoscenza del dolo o della collusione, e della relativa prova. L’indicazione del giorno in cui il terzo ha scoperto il dolo o la collusione tra le parti è necessaria per determinare il momento dal quale decorre il termine per la presentazione dell’impugnazione. Ai sensi dell’art. 325 c.p.c., l’opposizione di terzo revocatoria si propone entro trenta giorni ed il termine, come previsto dall’art. 326 c.p.c., decorre dal giorno in cui si è scoperto il dolo o accertata la collusione. La conoscenza del dolo o della collusione deve essere effettiva e provenire dalla parte interessata; la mancanza di questa indicazione rende la citazione nulla.
Secondo la giurisprudenza, inoltre, l’opposizione deve notificarsi secondo le modalità di cui all’art. 330 c.p.c.
In base a tale norma, se nell’atto di notificazione della sentenza impugnata la parte ha dichiarato la sua residenza o eletto domicilio nella circoscrizione del giudice che l’ha pronunciata, l’impugnazione deve essere notificata nel luogo indicato; altrimenti si notifica ai sensi dell’art. 170 c.p.c., presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio. Quando manca la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio e, in ogni caso, dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza, l’impugnazione, se è ancora ammessa dalla legge, si notifica personalmente a norma degli articoli 137 e seguenti c.p.c.
Una volta instaurato il procedimento di opposizione, l’art. 406 c.p.c. impone l’applicazione delle norme stabilite per il procedimento dinanzi a lui, in quanto non derogate dal presente capo.
Art. 406 c.p.c. Procedimento.
Davanti al giudice adito si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti a lui, in quanto non derogate da quelle del presente capo .
Come previsto dalla giurisprudenza di legittimità, sussiste litisconsorzio necessario nei confronti di tutte le parti del giudizio concluso con la sentenza impugnata.
La presentazione dell’opposizione non comporta la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata. Ai sensi dell’art. 407 c.p.c., il giudice dell’opposizione, con procedimento in camera di consiglio, può pronunciare, su istanza di parte inserita nell’atto di citazione, ordinanza di sospensione.
La pronuncia sull’opposizione di terzo avviene con sentenza che decide insieme il rescindente ed il rescissorio.
Il giudice, se dichiara inammissibile o improcedibile la domanda o la rigetta per infondatezza dei motivi, condanna l’opponente al pagamento di una pena pecuniaria (art. 408 c.p.c.).
Art. 408 c.p.c. Decisione
Il giudice, se dichiara inammissibile o improcedibile la domanda o la rigetta per infondatezza dei motivi, condanna l'opponente al pagamento di una pena pecuniaria di 2 euro se la sentenza impugnata è del giudice di pace, di 2 euro se è del tribunale e di 2 euro in ogni altro caso.
La sentenza che accoglie l’opposizione di terzo revocatoria ex art. 404, comma 2, c.p.c., proposta da un avente causa o da un creditore di una delle parti avverso la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva, quando sia l’effetto di dolo o collusione a suo danno, non comporta l’inefficacia del precedente giudicato opposto nei soli confronti del terzo opponente, mantenendolo fermo nel rapporto tra le parti originarie, bensì comporta la totale eliminazione della sentenza passata in giudicato nei confronti delle parti del processo originario, con effetto riflesso e consequenziale nei confronti del terzo opponente.
La sentenza che decide sull’opposizione di terzo è impugnabile con i mezzi che sarebbero ammissibili contro la sentenza opposta. Pertanto, se la sentenza opposta era di primo grado, il rimedio contro la sentenza che decide sull’opposizione è l’appello; se invece la sentenza opposta era di appello, il rimedio contro la sentenza che decide sull’opposizione è il ricorso per cassazione.