I piccioni possono essere abbattuti con armi da fuoco per ragioni sanitarie solo se i rimedi ecologici risultino inefficaci.
È illegittimo, per violazione dell’art. 19, della legge sulla caccia (legge 11 febbraio 1992, n. 157), il provvedimento con il quale il Sindaco, sul presupposto che i piccioni di città costituiscano specie non appartenente alla fauna selvatica e considerato il danno che i medesimi arrecano sotto il profilo della tutela igienico-sanitaria e di quella dei beni culturali, ne ha autorizzato l’abbattimento mediante arma da fuoco nei luoghi ove è consentita l’attività venatoria.
Secondo il TAR perugino «i colombi di città, secondo il pressoché pacifico orientamento degli organi tecnici dello Stato nonché della giurisprudenza, fanno parte della fauna selvatica in quanto vivono “in stato di libertà naturale” (cfr. parere ISPRA 15 giugno 2000 nonché TAR Toscana, sez. II, 2 dicembre 2009, n. 2584; TAR Veneto, sez. II, 24 ottobre 2008, n. 3274), risultando come tali soggetti al sistema di tutele di cui alla legge n. 157 del 1992»
Prima di disporre l’abbattimento a mezzo arma da fuoco occorre dunque rispettare quanto previsto dall’art. 19 della legge n. 157 del 1992 e quindi, «in prima battuta, è necessario il ricorso a “metodi ecologici” di contenimento del fenomeno; soltanto una volta falliti questi tentativi è allora possibile, in seconda battuta, l’adozione di piani di abbattimento da realizzare, in ogni caso, per mano di guardie venatorie all’uopo preposte (cfr. T.A.R. Emilia-Romagna Bologna, sez. II, 5 aprile 2012, n. 241; T.A.R. Toscana, sez. II, 2 dicembre 2009, n. 2584; T.A.R. Veneto, sez. II, 24 ottobre 2008, n. 3274; T.A.R. Veneto, sez. II, 19 ottobre 2007, n. 3357).
Considerato, inoltre, che qualora tali interventi, pur concretamente e seriamente avviati, si rivelino de futuro infruttuosi sul piano dell’efficienza o comunque dell’efficacia, è in ogni caso fatto salvo il ricorso alle misure di cui all’art. 50 del TUEL: e ciò per garantire il maggior equilibrio possibile, nell’ottica del buon andamento dell’azione amministrativa, tra principio di legalità e obblighi di risultato».
Art. 19 Legge 157/1992
Controllo della fauna selvatica.
1. Le regioni possono vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica di cui all’articolo 18, per importanti e motivate ragioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità.
2. Le regioni, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia. Tale controllo, esercitato selettivamente, viene praticato di norma mediante l’utilizzo di metodi ecologici su parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica. Qualora l’Istituto verifichi l’inefficacia dei predetti metodi, le regioni possono autorizzare piani di abbattimento. Tali piani devono essere attuati dalle guardie venatorie dipendenti dalle amministrazioni provinciali. Queste ultime potranno altresì avvalersi dei proprietari o conduttori dei fondi sui quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio, nonché delle guardie forestali e delle guardie comunali munite di licenza per l’esercizio venatorio.
3. Le province autonome di Trento e di Bolzano possono attuare i piani di cui al comma 2 anche avvalendosi di altre persone, purché munite di licenza per l’esercizio venatorio.
T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 30 dicembre 2015, n. 607