La S.C. si è pronunciata sul ricorso avanzato da un operaio magrebino avverso la sentenza d’appello con la quale era stato condannato a 5 mesi e 10 giorni di reclusione in quanto colpevole del delitto di cui all’art. 572 c.p. per aver costretto il nipote, infraquattordicenne, affidato dai genitori alle sue cure, a vendere piccoli oggetti per strada appropriandosi poi del ricavato e disinteressandosi della condizione di sofferenza in cui versava, denutrito e malvestito.
Tale condotta, secondo i giudici di Piazza Cavour, integra gli estremi del reato di cui all’art. 572 c.p. e non la più lieve fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 671 c.p. (Impiego di minori nell’accattonaggio), conclusione cui si giunge sulla base delle seguenti considerazioni.
Nelle motivazioni della sentenza viene osservato come il bene protetto dalla norma di cui all’art. 572 infatti non sia solamente l’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti violenti e vessatori, ma anche la tutela dell’incolumità fisica e psichica delle persone indicate dalla norma (cfr. Cass. pen. n. 37019/2003).
La S.C. rileva altresì come il reato di maltrattamenti familiari o verso i fanciulli sia un reato a forma libera e, pur richiedendo l’abitualità ovvero la costanza di certi comportamenti, possa ben essere integrato da condotte commissive ed omissive (come accaduto nel caso di specie, caratterizzato dal costante disinteresse verso il minore, completamente abbandonato a se stesso). Quanto all’elemento soggettivo del reato è ritenuto sufficiente il dolo generico ovvero la consapevolezza di sottoporre il soggetto passivo ad uno stato continuativo ed abituale di sofferenza.
In conclusione, in merito al rapporto fra l’art. 572 e l’art. 671 c.p. viene rilevato come la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 671 costituisce un minus rispetto al reato di maltrattamenti e come possa eventualmente con esso concorrere.
È stato tuttavia ritenuto di doversi applicare la norma più grave in quanto l’accattonaggio cui era costretto il minore costituiva l’espressione di una più complessa condizione di vita riservata al medesimo e caratterizzata dalla mancanza di affettività familiare, da sofferenze fisiche e psicologiche, da mortificazioni di ogni genere.
Cassazione penale, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 3419