Il comportamento del querelato che, pur se rimasto contumace, non compare in udienza è da considerarsi espressivo di una manifestazione tacita di volontà ad accettare la remissione della querela proposta dal querelante, purché lo stesso sia posto a conoscenza o posto in grado di conoscere la remissione della querela.
Le Sezioni Unite (cfr. Cassazione penale sez. un., 25 maggio 2011, n. 27610), chiamate a risolvere un lungo contrasto giurisprudenziale sulle formalità inerenti l’accettazione della querela, osservano che la rubrica dell’art. 155 c.p., impropriamente denominata “Accettazione della remissione”, non richiede ai fini dell’efficacia giuridica della remissione di querela una esplicita e formale accettazione, ma si limita a porre come condizione che non vi sia una ricusazione in forma espressa o tacita (si ha “ricusa tacita” quando il querelato ha compiuto fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione).
La norma citata prende in considerazione solo l’ipotesi in cui il querelato abbia espressamente o tacitamente ricusato la remissione; il comportamento che essa va a disciplinare non è dunque “un comportamento positivo – di accettazione – ma uno negativo – di rifiuto”. L’accettazione invece può sol anche presumersi.
Tuttavia, affinché l’omessa comparizione in udienza del querelato integri la mancanza di ricusa idonea a legittimare la pronuncia di estinzione del reato, è necessario che il querelato sia posto a conoscenza della remissione della querela o almeno posto in grado di conoscerla: solo in tal caso si può escludere che sussistano “fatti indicativi di una volontà contraria del querelato”.
La necessarietà di tale presupposto deriva soprattutto dalle rilevanti conseguenze che possono discernere dall’accettazione della remissione, la quale, lo ribadiamo anche se noto, determina l’effetto estintivo del reato.
A parte l’oggettivo e considerevole interesse dell’imputato all’accertamento della verità giudiziale in merito ai fatti addebitategli dal querelante, lo stesso potrebbe vedersi condannato al pagamento delle spese processuali come disposto dall’art. 340 c.p.p. comma 4, modificato dalla L. 25 giugno 1999, n.205, art. 13, secondo cui “le spese del procedimento sono a carico del querelato, salvo che nell’atto di remissione sia stato diversamente convenuto”.
Il giudice può quindi valutare l’assenza del querelato come una manifestazione tacita della sua volontà di non ricusare la remissione, ma nel farlo non potrà prescindere dall’accertamento in concreto della consapevolezza da parte dello stesso dell’intervenuta remissione.