Non può essere vietata l’affissione di un manifesto ateo e fin anche negazionista dell’esistenza di Dio.
L’Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti – UAAR nel 2013 presentò al Comune di Verona istanza di affissione di dieci manifesti recanti la parola, a caratteri cubitali, «Dio», con la «D» a stampatello barrata da una crocetta e le successive lettere «io» in corsivo, e sotto la dicitura, a caratteri più piccoli, «10 milioni di italiani vivono bene senza D. E quando sono discriminati, c’è l’UAAR al loro fianco». La richiesta veniva respinta dalla Giunta Comunale con la motivazione che detta affissione sarebbe risultata potenzialmente lesivo nei confronti di qualsiasi religione.
Ne seguiva una querelle giudiziaria conclusasi davanti alla Corte di Cassazione con la sentenza in esame, favorevole all’UAAR.
Secondo la Suprema Corte dal riconoscimento del diritto paritario degli atei e degli agnostici, rispetto a quello dei fedeli delle diverse religioni, di professare il proprio pensiero religioso «negativo», discende, altresì, il divieto – imposto dagli artt. 2, 3 e 19 Cost. – a favore dei medesimi di essere discriminati nella professione di tale pensiero.
La Corte rammenta altresì che la direttiva 2000/78 UE mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento e che sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga.
A fronte di tale ampiezza del concetto di discriminazione è stata ravvisata la discriminazione in pregiudizio della UAAR che intendeva pubblicizzare un’opzione religiosa «negativa», pensiero che pure va tutelato, nell’ambito della libertà di coscienza.