Cassazione penale, sez. V, 26 febbraio 2016, n. 7974
«L’amministrazione di sostegno introdotta nell’ordinamento dalla L. 9 gennaio 2004, n. 6, art. 3 – ha la finalità di offrire a chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi uno strumento di assistenza che ne sacrifichi nella minor misura possibile la capacità di agire, distinguendosi, con tale specifica funzione, dagli altri istituti a tutela degli incapaci, quali l’interdizione e l’inabilitazione, non soppressi, ma solo modificati dalla stessa legge attraverso la novellazione degli artt. 414 e 427 cod. civ.. Rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Sez. 1, n. 17962 del 11/09/2015, Rv. 637102).
Nello svolgimento dei suoi compiti, l’amministratore di sostegno deve sempre tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario (art. 410 c.c., comma 1) e a questo dovere di ascolto, si accompagna quello di informare tempestivamente (e preventivamente) il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso: in tale ultimo caso, spetterà al giudice superare il contrasto, indicando all’amministratore la via da seguire (art. 410 c.c., comma 2).
Da queste brevi considerazioni emerge che, pur avendo un dovere di relazionare periodicamente (secondo la cadenza temporale stabilita dal giudice) sull’attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, il compito dell’amministratore di sostegno resta fondamentalmente quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali e non anche la cura della persona, poiché l’art. 357 cod. civ., che indica tale funzione a proposito del tutore, non rientra tra le disposizioni richiamate dall’art. 411 tra le norme applicabili all’amministrazione di sostegno.
Ciò significa che, in mancanza di apposite previsioni nel decreto di nomina (che, nella prospettiva di particolare duttilità dell’istituto, definisce in concreto i poteri e dunque anche gli obblighi dell’amministratore, individuando, in relazione alla specificità della situazione e delle esigenze del soggetto amministrato, gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto di quest’ultimo e quelli che costui può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore), l’amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell’incolumità individuale del soggetto incapace».
È stato quindi escluso il reato di abbandono di persona incapace (art. 591 c.p.) ascritto nella fattispecie ad un amministratore di sostegno il quale aveva omesso di accudire una donna per un fine settimana
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Cassazione penale, sez. V, 26 febbraio 2016, n. 7974