La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 78 del 5 aprile 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225 (cosiddetto “decreto milleproroghe” , convertito, con modificazioni, dalla Legge 26 febbraio 2011, n. 10).
Detta norma in tema di anatocismo bancario offre un’interpretazione autentica dell’art. 2935 del codice civile e stabilisce, nel primo periodo, che in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente (il richiamo è all’art. 1852 cod. civ.) l’art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa (principio da intendersi riferito a tutti i diritti nascenti dall’annotazione in conto, in assenza di qualsiasi distinzione da parte del legislatore).
Con specifico riferimento alla ripetibilità degli interessi anatocistici ne deriva che il termine decennale di prescrizione per l’esercizione di una azione tesa alla ripetizione degli stessi è quello dell’annotazione in conto corrente – ossia la data
in cui sul conto era stato effettuato il versamento a copertura dell’addebito degli interessi – e non quello di chiusura del conto stesso.
Il secondo periodo del suddetto art. 2, c. 61 del d.l. 225/2010 dispone che, in ogni caso, non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione. Anche questa disposizione normativa è chiara nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole (art. 12 disposizioni sulla legge in generale), che è quello di rendere non ripetibili gli importi già versati (evidentemente, nel quadro del rapporto menzionato nel primo periodo) alla data di entrata in vigore della legge di conversione.
(Art. 2, c. 61 d.l. 225/2010 “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione degli importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”)
Per la Consulta la norma in esame contrasta sia con l’art. 3 della Costituzione per violazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza nella misura in cui la stessa ha efficacia retroattiva, sia con l’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, poiché non è dato ravvisare quali sarebbero i motivi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare il detto effetto retroattivo.
La Consulta, accogliendo la questione di legittimità sollevata da ben vari Tribunali italiani, ha osservato che in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente si è ormai formato un orientamento giurisprudenziale maggioritario che ha condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine di prescrizione.
Diversamente, retrodatando il decorso del termine in deroga alle disposizioni civilistiche, la norma abrogata avrebbe reso “asimmetrico” il rapporto contrattuale di conto corrente fra correntista e istituto di credito, riducendo irragionevolmente in danno del primo l’arco temporale disponibile per l’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto nonché pregiudicando la posizione giuridica dei correntisti che, nel contesto giuridico anteriore all’entrata in vigore della norma, avessero avviato azioni dirette a ripetere somme illegittimamente addebitate. Sussiste, dunque, la violazione dell’art. 3 Cost., perché la norma censurata, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza.