La sentenza di cui trattasi ha ad oggetto il ricorso – proposto da un privato – avverso un provvedimento con cui un’amministrazione comunale aveva intimato la demolizione di talune opere abusivamente realizzate.
Più in particolare, parte ricorrente sostiene, in primis, l’inapplicabilità della sanzione demolitoria – disposta ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001 (c.d. “T.U. in materia edilizia”) – in quanto l’opera era stata edificata ben prima dell’introduzione, con norma, della sanzione in esame.
Ebbene, è noto come l’illecito edilizio abbia carattere permanente e non istantaneo, con la conseguenza che le sanzioni amministrative introdotte anche successivamente alla materiale esecuzione dell’abuso “sono applicabili a immobili che versano in una perdurante condizione di illegalità”
Il ricorrente lamenta, inoltre, il difetto di motivazione per non essersi evidenziato l’interesse pubblico attuale alla demolizione “anche in rapporto alla risalente esistenza dell’opera e alla eventuale conformità dell’opera alle vigenti disposizioni urbanistico-edilizie”.
A tale proposito, tuttavia, la Sez. IV del T.A.R. Campania ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui l’ordine di demolizione (come, del resto, tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia) è atto vincolato “alla constatata abusività, che non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto” (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VI, sentenza n. 2441 del 4 maggio 2011).
E ciò avviene soprattutto laddove l’intervento sanzionato incida – come accade nel caso di specie – su di un territorio particolarmente protetto in cui “l’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi è (e resta) in re ipsa” (cfr., per il principio generale, Cons. Stato, Sez. V, sentenza n. 1260 del 6 marzo 2012).
Per altro verso – prosegue il Collegio – non rileva l’astratta asserita conformità dell’opera all’assetto urbanistico edilizio vigente, poiché “(omissis) in presenza di un abuso edilizio, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all’autorità comunale, prima di emanare l’ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. 380/2001. Tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31 dello stesso D.P.R. che, in tal caso, obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36, che rimette all’esclusiva iniziativa della parte interessata l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato” (cfr. Cons. Stato, Sezione V, 6 marzo 2012, sentenza n. 1260).
Anche laddove, peraltro, l’istanza di accertamento di conformità fosse stata presentata, essa non avrebbe comunque avuto alcuna influenza sul piano della legittimità dell’ordinanza di demolizione, potendo, al più, essere condizionata “la possibilità di portarla ad esecuzione” (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 06 settembre 2010, n. 17306).
La descritta vincolatezza del provvedimento demolitorio induce il Collegio, infine, a respingere anche l’ulteriore doglianza – avanzata dal ricorrente – consistente nel mancato invio della c.d. comunicazione di avvio del procedimento (cfr. art. 7 della L. n. 241/1990): come è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della medesima Sez. IV, infatti, la doverosità del provvedimento rende recessivo l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della L. n. 241/1990, in quanto detto obbligo “non si applica ai provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, considerato il loro carattere “doveroso” (cfr. art. 21-octies della L. n. 241/1990 e, in giurisprudenza, ex plurimis, T.A.R. Campania, Sez. VI, sentenza n. 3706/2012).
TAR Campania, Napoli, Sez. IV, 10 settembre 2014, n. 4878