La carcerazione, sia essa preventiva od esecutiva di una condanna, che avvenga per fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro, secondo costante orientamento giurisprudenziale (ex plurimis, Cass. Civ., sez. lavoro, 1 settembre 1999 n. 9239) non costituisce inadempimento di obblighi contrattuali ma integra un fatto oggettivo determinante una sopravvenuta impossibilità temporanea della prestazione lavorativa.
Ne deriva che il licenziamento del lavoratore che versa in stato di detenzione si giustifica solamente nella misura in cui venga valutata l’assenza di un apprezzabile interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del lavoratore detenuto, il tutto secondo criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati dall’art. 3 della Legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), costituiti dalle esigenze oggettive dell’impresa, che devono essere valutate con giudizio ex ante e non ex post, tenendo conto delle dimensioni della stessa, del tipo di organizzazione tecnico – produttiva, della natura ed importanza delle mansioni del lavoratore detenuto, nonchè del maturato periodo di assenza, della prevedibile durata della carcerazione, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le sue mansioni senza necessità di nuove assunzioni, e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della misura della tollerabilità dell’assenza (Cfr. Cass. Civ, sez. lavoro, 5 maggio 2003 n. 6803; Cass. Civ, sez. lavoro1 settembre 1999 n. 9239).
Nel caso di specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza d’Appello impugnata che aveva ritenuto insussistenti gli estremi del giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
La carenza della prestazione resa dal dipendente, pur introducendo un fattore modificativo delle turnazioni predisposte e di redistribuzione delle prestazioni, non aveva arrecato alcuna alterazione seria delle funzioni produttive, né alcuna compromissione della struttura organizzativa tale da indurre a significativamente alterare la compagine lavorativa mediante il ricorso a nuove assunzioni.
È stata pertanto ritenuta carente la specifica dimostrazione da parte del datore di lavoro, onerato in tal senso, della intollerabilità dell’assenza del dipendente in relazione all’organizzazione aziendale ed alla sostituibilità del lavoratore medesimo.
Cassazione civile, sez. lavoro, 1 giugno 2009, n. 12721