«Il porto del casco, così come di ogni altro oggetto non destinato per sua natura ad offendere, cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione e l’oggetto viene utilizzato in guisa di arma impropria.
Per tale motivo questa Corte ha ritenuto, ad esempio, arma impropria, anche ai fini dell’applicazione delle circostanze aggravanti del delitto di rapina e dei delitti di lesione e di omicidio, un bloccapedali per automobile, se utilizzato al fine di minaccia in un contesto aggressivo e, quindi, divenuto strumento atto ad offendere (Cassazione penale, sez. II, 16/06/2009, n. 2995); analogamente, si è ritenuta ricorrente la circostanza aggravante del fatto commesso con armi quando il soggetto agente faccia uso di una catena di ferro, rientrando la stessa nella nozione d’arma impropria (Cassazione penale, sez. V, 06/11/2008, n. 43759).
È del tutto evidente, dunque, che anche un casco, per le sue caratteristiche di massa e durezza, possa diventare un’arma impropria se utilizzato per offendere, avendo una potenziale idoneità lesiva non certo indifferente.
D’altronde, questa stessa sezione ha già affermato che il reato di lesioni volontarie commesso con armi improprie deve ritenersi aggravato, ai sensi dell’art. 585 comma 2 c.p., anche se l’arma sia stata portata per giustificato motivo, in quanto la legittimità del porto non influisce sulla esistenza dell’aggravante in questione (Cassazione penale, sez. V, 05/10/2000, n. 11872)».