Non sempre risponde di circonvenzione d’incapace la giovane donna che sposa l’uomo anziano allontanandolo dai figli purché questi, ancorché fragile sotto il profilo psicologico, abbia gestito in modo libero e consapevole la relazione sentimentale.
Lo ha sancito la Corte di cassazione che, con la sentenza 44942 del 7 novembre 2013, ha ritenuto inammissibile il ricorso del Procuratore generale contro la decisione della Corte d’appello di Roma che, a suo avviso, non ha tenuto conto che ai fini della configurabilità dei reato di cui all’art. 643 Cp, non occorre che la persona offesa sia affetta da vere e proprie patologie mentali, essendo sufficiente la impossibilità di opporre resistenza a suggestioni e pressioni altrui in dipendenza di una situazione di debolezza psicologica, sicuramente identificabile nei confronti della persona offesa, della quale l’agente approfitti consapevolmente. E ancora, secondo il Pg l’imputata avrebbe sapientemente costretto la persona offesa in una condizione di isolamento e di estraniazione dai suoi affetti familiari, impedendo i suoi contatti con il figlio.
La seconda sezione penale ha osservato che in diritto è corretta l’affermazione del Procuratore che «anche dal solo contratto di matrimonio può derivare un danno al contraente incapace, in quanto tenuto nei confronti del coniuge a una serie di obblighi anche di contenuto patrimoniale; per la configurabilità del delitto di cui all’art. 643 Cp non occorre infatti che l’effetto dannoso consegua all’atto indotto come sua conseguenza giuridica immediata e che, quindi, l’attitudine a determinare un danno o un pericolo di danno costituisca una manifestazione tipica dell’atto stesso, ma è sufficiente che questo, determinato dal dolo o dalla frode dell’agente, sia idoneo a ingenerare un pregiudizio o un pericolo di pregiudizio per il soggetto passivo che l’ha posto in essere o per altri». Ma, in linea con la Corte capitolina, Piazza Cavour ha ritenuto congrua l’osservazione dei giudici di appello: la persona offesa, nel condurre la propria relazione con l’imputata, ebbe chiaramente presenti i limiti del rapporto per l’anomala differenza d’età con la donna, e visse il legame in modo alquanto tormentato, per la sua incidenza negativa sui più stretti legami familiari, tanto da essere indotto a un deciso ripensamento dell’opportunità di continuare la convivenza con l’imputata. Da questo, la persona offesa, indipendentemente dalla sua più o meno accentuata fragilità psicologica, si condusse in modo libero e consapevole nella sua relazione con l’imputata, «valutandone i pro e i contro alla stregua di un bilancio, per dir cosi, continuamente aggiornato».
Cassazione penale, sez. II, 7 novembre 2013, n. 44942