In tema di tutela del consumatore e, segnatamente, di protezione dalle clausole vessatorie, la legge 6 febbraio 1996, n. 52, art. 25 introdusse nel codice civile l’art. 1469 quinquies (unitamente agli artt. 1469 bis e 1469 quinquies, contenuti nel capo 14 bis del cod. civ.).
Successivamente, tutti gli articoli in questione furono sostituiti dall’art. 1469bis introdotto dal D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 142, (codice del consumo), che rimanda appunto alle disposizioni di detto codice per quanto riguarda i contratti con il consumatore, per cui le norme del codice civile restano applicabili solo se non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più favorevoli per il consumatore.
L’art. 1469 bis prima, e l’art. 33 del codice del consumo secondo la legislazione vigente al tempo in cui si scrive, qualificano come clausole vessatorie del contratto tra professionista e consumatore quelle che “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” mentre “si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di:
a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista;
b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
c) escludere o limitare l’opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo;
d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà;
e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere;
f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo;
g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto;
h) consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa;
i) stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione;
l) prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto;
m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso;
n) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione;
o) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto;
p) riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d’interpretare una clausola qualsiasi del contratto;
q) limitare la responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari o subordinare l’adempimento delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità;
r) limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore;
s) consentire al professionista di sostituire a sè un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo;
t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi;
u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore;
v) prevedere l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore. È fatto salvo il disposto dell’articolo 1355 del codice civile”.
Per effetto dell’art. 36 del Codice del Consumo (e precedentemente dell’art. 1469-quinquies cod. civ., che ne sanciva l’inefficacia) le clausole considerate vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto.
Ma può il giudice rilevare d’ufficio il carattere vessatorio di una clausola contrattuale?
Con l’avvento del Codice del Consumo la rilevabilità d’ufficio è stata prevista al 3 comma dell’art. 36 (“La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”) ma, al riguardo, le Sezioni unite civili con la sentenza n. 14828 del 2012 hanno ulteriormente evidenziato la rilevabilità d’ufficio delle nullità, richiamando anche una pronuncia della Corte di giustizia del 4 giugno 2009, causa 243/08, la quale ha stabilito che il giudice deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e, in quanto nulla, non applicarla, tranne nel caso in cui consumatore vi si opponga.
Inoltre, può essere richiamato anche il successivo arresto della Cassazione (Sent. n. 17257 del 2013) che ha applicato tale principio anche quando siano state proposte eccezione di nullità del contratto in primo grado, ritenendo ammissibile la proposizione in grado di appello di altre eccezioni che deducono ulteriori profili di nullità, rilevabile d’ufficio.
In ogni caso la nullità di una clausola vessatoria di un contratto opera solo a vantaggio del consumatore e non travolge l’intero rapporto contrattuale limitandosi solo a rendere inefficace tale clausola.
Cassazione civile, sez. II, 21 marzo 2014, n. 6784