Risolto in favore del Presidente della Repubblica il conflitto di attribuzione di poteri con il Ministro della Giustizia in ordine al procedimento di concessione della grazia. Una simile conclusione, ha osservato la Corte, risponde anche all’ulteriore esigenza di evitare che nella valutazione dei presupposti per l’adozione di un provvedimento avente efficacia “ablativa” di un giudicato penale possano assumere rilievo le determinazioni di organi appartenenti al potere esecutivo.
Tali essendo i presupposti del potere di grazia, la Corte ha quindi ritenuto che, qualora il Presidente della Repubblica abbia sollecitato il compimento dell’attività istruttoria ovvero abbia assunto direttamente l’iniziativa di concedere la grazia, il Guardasigilli, non potendo rifiutarsi di dare corso all’istruttoria e di concluderla, determinando così un arresto procedimentale, può soltanto rendere note al Capo dello Stato le ragioni di legittimità o di merito che, a suo parere, si oppongono alla concessione del provvedimento, giacché ammettere che il Ministro possa o rifiutarsi di compiere la necessaria istruttoria o tenere comunque un comportamento inerte, equivarrebbe ad affermare che egli disponga di un inammissibile potere inibitorio, una sorta di potere di veto, in ordine alla conclusione del procedimento volto all’adozione del decreto di concessione della grazia voluto dal Capo dello Stato.
Quest’ultimo, dal canto suo, nella delineata ipotesi in cui il Ministro Guardasigilli gli abbia fatto pervenire le sue motivate valutazioni contrarie all’adozione dell’atto di clemenza, ove non le condivida, adotta direttamente il decreto concessorio, esternando nell’atto le ragioni per le quali ritiene di dovere concedere ugualmente la grazia, malgrado il dissenso espresso dal Ministro.
In tale caso, la controfirma del decreto concessorio, da parte del Ministro della Giustizia, costituisce l’atto con il quale il Ministro si limita ad attestare la completezza e la regolarità dell’istruttoria e del procedimento seguito. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha quindi annullato la nota del 24 novembre 2004, con la quale il Ministro della giustizia, avendo il Presidente della Repubblica, con nota dell’8 novembre 2004, manifestato la propria determinazione di volere concedere il provvedimento di clemenza, ha omesso di dar corso alla procedura per la concessione della grazia ad Ovidio Bompressi.
Corte Costituzionale, 18 maggio 2006, n. 200