Tra tutti i doveri nascenti dal matrimonio il dovere di fedeltà è quello che ha maggiormente subito i cambiamenti della realtà sociale, infatti se inizialmente era inteso strettamente come dovere di astensione da relazioni sessuali con persone diverse dal proprio coniuge oggi invece è collegato maggiormente al concetto di lealtà, nella sua accezione di dovere di non tradire la fiducia dell’altro coniuge, di rispettarne la dignità nonché di astenersi da comportamenti incompatibili con la scelta di vita familiare già intrapresa, riferibile perciò non solo al coniuge ma all’intero nucleo familiare.
Tanto la giurisprudenza di merito quanto quella di legittimità convergono nel ritenere che l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale (art. 143, co. 2, c.c.) possa rappresentare una violazione particolarmente grave tale da determinare l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e, di conseguenza, giustificare l’addebito di colpa nei confronti del coniuge responsabile, sempre che nel periodo antecedente la condotta fedifraga il rapporto non fosse già in crisi (cfr. Cassazione Sezione Prima Civile n. 7859 del 9 giugno 2000).
Sulla stessa linea si pone la sentenza n. 20256 del 19 settembre 2006, con cui la Cassazione ha stabilito il principio che l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale può giustificare ex se una pronuncia di addebito della separazione esclusivamente nell’ipotesi in cui tale condotta sleale sia la causa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e non una conseguenza di questa.
Alcuni giorni fa gli ermellini sono intervenuti di nuovo sulla questione e, basandosi sulla massima appena richiamata, hanno fissato un altro limite alla violazione del dovere di fedeltà coniugale nascente dal matrimonio, nella sua qualità di presupposto legittimante l’addebito di colpa all’interno della separazione: con sentenza del 21 settembre 2012 n. 16089 è stato rigettato il ricorso proposto dalla moglie che aveva dichiarato e dimostrato al coniuge (poi rivelatosi infedele) di non essere in alcun modo intenzionata ad avere della prole da questi.
Spiega la Cassazione che, conformemente alla ratio decidendi di controversie analogamente risolte, la relazione extra-coniugale posta in essere dal coniuge non rileva quale causa di intollerabilità della convivenza e dunque non giustifica l’addebito di colpa poiché si inserisce in un periodo in cui il rapporto fra i due coniugi era già entrato in una crisi non più reversibile, determinata nel caso in esame anche dal rifiuto (documentato dalle dichiarazioni rese dai parenti più prossimi della coppia) della moglie di procreare con il proprio marito.
In conclusione una piccola avvertenza, dettata anche dal buon senso, per il gentil sesso: se senza addurre giustificate ragioni non si vuole donare prole al proprio coniuge, nel caso in cui poi questi intrattenga una relazione extra-coniugale, bisognerà rinunciare nel giudizio di separazione alla richiesta della pronuncia di addebito di colpa nei confronti del coniuge infedele.
Cassazione civile, sez. I, 21 settembre 2012, n. 16089