Anche la parte rimasta contumace ha interesse alla definizione del giudizio in tempi ragionevoli ed è quindi legittimata ad avanzare domanda di equa riparazione.
L’indennizzo per l’eccessiva durata del giudizio – previsto nel nostro ordinamento dalla legge 24 marzo 2001, n. 89 – compete senz’altro anche a chi non si è costituito (o per il tempo in cui non si è costituito), poiché comunque “il contumace è parte del giudizio”.
D’altronde l’art. 6 della CEDU (convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) attribuisce tale diritto ad “ogni persona”, relativamente alla “sua causa”, mentre la l. 24 marzo 2001, n. 89, art.2, assicura un’equa riparazione a “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale” per effetto della violazione di quel principio.
La tutela è dunque apprestata indistintamente a tutti coloro che sono coinvolti in un procedimento giurisdizionale, tra i quali non può non essere annoverata anche la parte non costituita in giudizio, nei cui confronti la decisione è comunque destinata a esplicare i suoi effetti. Risulta pertanto arbitrario escludere il contumace dalla garanzia di “ragionevole durata”, che l’art. 111 della Costituzione inserisce tra quelle del “giusto processo”.