I soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società.
La perfetta autonomia patrimoniale inerente alla personalità giuridica della società comporta la netta separazione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci, dalla quale derivano l’esclusiva imputazione alla società stessa dell’attività svolta in suo nome e delle relative conseguenze patrimoniali passive – essendo la responsabilità del socio limitata al bene conferito – e l’esclusiva legittimazione della società all’azione risarcitoria nei confronti del terzo, che con la propria condotta illecita abbia recato pregiudizio al patrimonio sociale.
Gli effetti negativi sull’interesse economico del socio (riduzione del valore della quota e compromissione della redditività dell’investimento) costituiscono mero riflesso di detto pregiudizio patito dalla società e non conseguenza diretta ed immediata dell’illecito.
Tale principio rappresenta il naturale completamento del divieto, posto dall’art. 2395 c.c., con riferimento agli “atti colposi o dolosi degli amministratori” di risarcire al socio il cd. danno riflesso, nel caso in cui l’autore del danno sia un terzo.
Peraltro, “se si ammettesse che i soci di una società di capitali possano agire per ottenere il risarcimento dei danni procurati da terzi alla società, in quanto incidenti sui diritti derivantigli dalla partecipazione sociale, non potendosi negare lo stesso diritto alla società, si finirebbe con il configurare un duplice risarcimento per lo stesso danno” (Cass. Civ., sez. unite, n. 27346/2009).
Dei danni subiti dalla società solo alla società compete il risarcimento, di modo che per il socio il ristoro è destinato a realizzarsi unicamente nella medesima maniera indiretta in cui si è prodotto il suo pregiudizio. A questa categoria di danni appartengono quelli derivanti dalla perdita della redditività e del valore della partecipazione (v. Cass. n. 6364 del 1998) e della possibilità di conseguire gli utili (v. Cass. n. 6558 del 2011), nonché dalla perdita del capitale sociale “che è un bene della società e non dei soci” (v. Cass. n. 15220/2010, n. 10271/2004, n. 9385/1993) e delle potenzialità reddituali della stessa, ecc.
Diversamente devono considerarsi danni diretti di quelli prodotti immediatamente nella sfera giuridico-patrimoniale del socio e che non consistano nella semplice ripercussione di un danno inferto alla società. In tal caso solo il socio stesso è legittimato a dolersene.
Si pensi ai danni arrecati alla sfera personale quali il danno all’immagine del socio, il danno alla sua onorabilità, ecc.) o anche alla sfera patrimoniale del socio a determinate condizioni (si pensi alla perdita di opportunità economiche e lavorative o alla riduzione del cd. merito creditizio). In tali casi il danno rimane pur sempre diretto e, quindi, risarcibile al socio dal terzo responsabile.