La dimidiazione dei termini di cui all’art. 23 bis L. n. 1034/71 non si applica alla proposizione dei motivi aggiunti.
Con la sentenza che si annota l’Adunanza Plenaria dirime la vexata questio relativa all’applicabilità o meno della dimidiazione dei termini ex art. 23 bis L. n. 1034/71 (cd. Legge TAR) al ricorso per motivi aggiunti.
Notoriamente, sul punto si fronteggiano da sempre tre orientamenti interpretativi. Il primo, muovendo dalla ratio acceleratoria del dimezzamento dei termini e dalla constatazione che l’unica eccezione testuale ad esso è rappresentata dal solo termine di proposizione del Ricorso introduttivo, conclude che anche il termine di esperimento dei Motivi aggiunti debba intendersi dimezzato. Una seconda opinione, al contrario, esclude che quest’ultimo termine possa essere abbreviato, attesa l’identica esigenza di non comprimere il diritto di difesa, che costituisce la ratio dell’eccezione contenuta nella norma.
Infine, un orientamento intermedio assume la necessità di distinguere, dopo la riforma dei Motivi aggiunti operata con la Legge 21.7.2000 n. 205, fra i Motivi aggiunti con i quali ci si limiti a sviluppare censure ulteriori avverso i medesimi atti già impugnati col Ricorso introduttivo e quelli con cui, invece, siano impugnati atti nuovi ed ulteriori, concludendo che solo nel primo caso opererebbe il dimezzamento, in quanto nella seconda ipotesi i Motivi aggiunti sarebbero sostanzialmente assimilabili ad una nuova impugnazione, ben potendo, in effetti, in alternativa ad essi procedersi attraverso un Ricorso autonomo.
Nel caso che ci occupa, l’Adunanza condivide la decisione del primo Giudice di ritenere inoperante, per il termine di proposizione dei Motivi aggiunti, la dimidiazione di cui all’art. 23 bis comma 2 della Legge n. 1034 del 1971.
La soluzione adottata viene argomentata con il rilievo che la ratio alla base della scelta normativa di non estendere il dimezzamento al termine di notifica dell’Atto introduttivo del giudizio riposa sull’esigenza di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa affermato dalla Costituzione, che risulterebbe eccessivamente compresso per effetto dell’abbreviazione del termine de quo.
Tale esigenza, argomenta il Collegio, sussiste anche nell’ipotesi in cui sia necessario articolare nuove censure attraverso i Motivi aggiunti, non potendo attribuirsi rilevanza decisiva alla diversità di situazioni, consistente nel fatto che in tal caso il ricorrente abbia già conferito mandato al difensore, con l’ulteriore corollario che i tempi necessari per l’esercizio del diritto di difesa debbano essere considerati al netto di quelli occorrenti alla ricerca di un legale; nella fissazione dei termini per l’esercizio delle attività processuali, infatti, è corretto prescindere dal rapporto interno fra parte e difensore, attivandosi unicamente a prevedere tempi idonei a consentire all’interessato la piena esplicazione del proprio diritto di difesa.
Consiglio di Stato, Ad. Plenaria, 15 aprile 2010, n. 2155