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    È diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie.

    Redazionedi Redazione2 Gennaio 2017Aggiornato il:2 Gennaio 2017
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    È diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie. Aborto

    Cassazione civile, sez. III, 14 luglio 2006, n. 16123

    1) Non è configurabile un diritto a “non nascere” o a “non nascere se non sano”, essendo per converso tutelato dall’ordinamento – anche mediante sanzioni penali – il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie. È da escludersi pertanto la configurabilità del c.d. aborto eugenetico, che prescinda dal pericolo derivante alla salute della madre dalle malformazioni del feto.
    2) A norma dell’art. 6 lett. b) della legge n. 194 del 1978, per la possibilità giuridica di ricorrere all’interruzione di gravidanza dopo il novantesimo giorno non è sufficiente la presenza di anomalie o malformazioni del nascituro, ma è necessario che tale presenza determini processi patologici in atto consistenti in un “grave” pericolo per la salute fisica o psichica della madre. La parte che richiede il risarcimento del danno per la lesione del diritto all’interruzione della gravidanza in conseguenza della violazione da parte dei sanitari del diritto all’informazione deve pertanto provare che, quantomeno in termini di probabilità scientifica, la patologia necessaria per ricorrere all’interruzione di gravidanza sarebbe stata manifesta in conseguenza della informazione da parte dei medici.
    3) Non è configurabile il diritto dello stretto congiunto (nel caso, sorella) del nato ad essere informato in ordine alle malformazioni del feto.
    Nel fare richiamo a recenti arresti, la terza Sezione della Corte Suprema di cassazione ribadisce alcuni importanti principi in materia di diritto alla nascita e di aborto, nonché sugli obblighi di informazione da parte del medico.
    Evocando anzitutto la sentenza n. 14488/2004, la Cassazione afferma che l’ordinamento positivo tutela il concepito e l’evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, e non anche verso la “non nascita”, essendo pertanto al più configurabile un “diritto a nascere” e a “nascere sani”, suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua positiva accezione, sia sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale o extracontrattuale o da “contatto sociale”, sia sotto il profilo latamente pubblicistico, della predisposizione di tutti gli istituti normativi e di tutte le strutture di tutela, cura e assistenza della maternità idonei a garantire (nell’ambito delle umane possibilità) di nascere sano.
    È esclusa invece la configurabilità in capo al concepito di un “diritto a non nascere” o a “non nascere se non sano”, poiché dal combinato disposto degli artt. 4 e 6 della legge n. 194 del 1978 si evince che: a) l’interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (successivamente a tale termine); b) trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre; c) le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante, e non già in sé e per sé considerate (con riferimento cioè al nascituro).
    E come emerge ulteriormente: a) dalla considerazione che il diritto di “non nascere” sarebbe un diritto adespota (in quanto ai sensi dell’art. 1 cod. civ. la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita e i diritti che la legge riconosce a favore del concepito – artt. 462, 687, 715 cod. civ. – sono subordinati all’evento della nascita, ma appunto esistenti dopo la nascita), sicché il cosiddetto diritto di “non nascere” non avrebbe alcun titolare appunto fino al momento della nascita, in costanza della quale proprio esso risulterebbe peraltro non esistere più; b) dalla circostanza che ipotizzare un diritto del concepito a “non nascere” significherebbe configurare una posizione giuridica con titolare solamente (e in via postuma) in caso di sua violazione, in difetto della quale (per cui non si fa nascere il malformato per rispettare il suo “diritto di non nascere”) essa risulterebbe pertanto sempre priva di titolare, rimanendone conseguentemente l’esercizio definitivamente precluso.
    La S.C. ne trae, quale corollario, la conseguente esclusione della configurabilità ed ammissibilità del c.d. aborto “eugenetico”, prescindente dal pericolo derivante dalle malformazioni fetali alla salute della madre, rilevando che l’interruzione della gravidanza al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 4 e 6 legge n. 194 del 1978 (accertate nei termini di cui agli artt. 5 ed 8), oltre a risultare in contrasto con i principi di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. e di indisponibilità del proprio corpo ex art. 5 cod. civ., costituisce reato anche a carico della stessa gestante (art. 19 legge n. 194 del 1978).
    È per converso il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie, ad essere propriamente – anche mediante sanzioni penali – tutelato dall’ordinamento.
    Verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto conseguentemente valere come proprio danno da inadempimento contrattuale l’essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata la madre, per difetto d’informazione, messa nella condizione di tutelare il di lei diritto alla salute, facendo ricorso all’aborto ovvero di altrimenti avvalersi della peculiare e tipicizzata forma di scriminante dello stato di necessità (assimilabile, quanto alla sua natura, a quella prevista dall’art. 54 cod. pen.) prevista dall’art. 4 legge n. 194 del 1978, risultando in tale ipotesi comunque esattamente assolto il dovere di protezione in favore di esso minore, così come configurabile e tutelato (in termini prevalenti rispetto – anche – ad eventuali contrarie clausole contrattuali: art. 1419, secondo comma, cod. civ.) alla stregua della vigente disciplina.
    Nel fare richiamo a Cass. 24/3/1999, n. 2793, la S.C. ribadisce altresì che il risarcimento del danno per il mancato esercizio del diritto all’interruzione della gravidanza non consegue automaticamente all’inadempimento dell’obbligo di esatta informazione cui il medico è tenuto in ordine alle possibili anomalie o malformazioni del nascituro, essendo al riguardo necessaria la prova della sussistenza delle condizioni previste dagli artt. 6 e 7 L. n. 194 del 1978 per ricorrere all’interruzione della gravidanza.
    Esclude invece la sussistenza di un diritto all’informazione (anche) in favore degli stretti congiunti (nel caso, la sorella minorenne) del nato, e conseguentemente la configurabilità di un danno risarcibile in suo favore per la relativa omissione da parte del medico.
    Sottolinea infine di rendersi conto che i princìpi suindicati comportano in effetti “un vulnus ai diritti dei due minori”, ma avverte che “la soluzione positiva di casi come quello di specie” non può essere invero ricercata “nella elaborazione giurisprudenziale” laddove al riguardo “manchi il supporto indispensabile di una normativa che lo consenta”.

    Cassazione civile, sez. III, 14 luglio 2006, n. 16123

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