Sono stati dichiarati inammissibili, per insussistenza del requisito oggettivo, i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica avverso la sentenza della Corte di Cassazione, sez. I civile, n. 21748 del 2007 ed il decreto della Corte di appello di Milano, sez. I civile, n. 88 del 25 giugno 2008, in relazione alla determinazione e all’applicazione del principio di diritto che consente, a determinate condizioni, l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali. La Corte ha escluso la sussistenza di indici atti a dimostrare che i giudici abbiano utilizzato i provvedimenti censurati come schermi formali per esercitare di fatto funzioni di produzione normativa così menomando l’esercizio del potere legislativo da parte del Parlamento, che ne è sempre e comunque titolare. La Corte di Cassazione nella sentenza sopra richiamata aveva stabilito che
il legale rappresentante che chiede l’interruzione del trattamento vitale «deve, innanzitutto, agire nell’esclusivo interesse dell’incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non “al posto” dell’incapace né “per” l’incapace, ma “con” l’incapace: quindi,
ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche»; che, pertanto, l’interruzione del trattamento può venire disposta soltanto: «a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre che la persona abbia la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno; e b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, concordanti e convincenti, della voce del rappresentato, tratta dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona»;
Corte Costituzionale, ordinanza 8 ottobre 2008, n. 334