L’istituto della esdebitazione di cui all’art. 142 delle Legge Fallimentare prevede che il fallito persona fisica, al verificarsi di talune condizioni individuate dalla norma, sia ammesso al beneficio della liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti.
Detta liberazione dai debiti residui pur tuttavia – stante il tenore letterale, ed invero criptico, del secondo comma dell’art. 142 L.F. – “non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali”.
La locuzione in evidenza può essere interpretata da un punto di vista prettamente letterale, in un duplice senso, vale a dire: nel senso che la parzialità si riferisca al non integrale soddisfacimento di ciascuno dei crediti esistenti ovvero nel senso che detta parzialità sia viceversa rapportata al numero complessivo dei creditori.
Interpretazione quest’ultima dalla cui condivisione discenderebbe che l’esdebitazione sarebbe concedibile pur a fronte di un soddisfacimento limitato ad una parte soltanto dei creditori ammessi, e che trova conforto nell’avvenuto richiamo, da parte del legislatore, ai creditori anziché ai crediti, senza alcuna specificazione in ordine alla totalità di essi.
Ed è proprio la seconda delle due letture della norma che la Suprema Corte ha inteso suffragare ritenendo sufficiente ai fini del beneficio della esdebitazione che sia pagato, al termine della procedura, anche solo una parte dell’intero ammontare dei crediti ammessi, sebbene in ipotesi alcuni creditori non siano stati pagati affatto.
La diversa conclusione, volta ad assicurare il pagamento parziale ma di tutti i creditori, introdurrebbe invero una distinzione irragionevole tra quei fallimenti che presentano crediti privilegiati di modesta entità e gli altri. Soltanto nei primi potrebbe infatti accedersi al meccanismo esdebitatorio, diversamente a fronte di una rilevante consistenza di crediti privilegiati sarebbe improbabile riusciere a soddisfare tutti i creditori, ancorché parzialmente, così di fatto precludendo l’accesso al meccanismo esdebitatorio a quell’imprenditore pure massimamente collaborativo e che abbia ottemperato a tutte le altre condizioni poste dalla norma.
D’altra parte detto istituto, anche in linea con quanto previsto in altri Paesi, “risulta essere espressione dell’orientamento di fondo cui si è ispirato il legislatore delegante nel dettare i principi di riforma delle discipline concorsuali, orientamento per il quale, l’insolvenza è percepita come uno dei possibili esiti, pur se certamente negativo, riconducibile all’attività imprenditoriale svolta, esito che non può, per ciò solo, determinare la definitiva eliminazione dai mercato dell’imprenditore e l’automatica dispersione della ricchezza costituita dalle esperienze da questi acquisite”.