La Seconda Sezione della Corte ha affermato che i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l’elemento intenzionale: nell’estorsione l’agente mira a conseguire un profitto ingiusto con la coscienza che quanto pretende non gli è dovuto; nell’esecizio arbitrario invece l’agente è animato dal fine di esercitare un suo preteso diritto nella ragionevole opinione, anche errata, della sua sussistenza, pur se contestata o contestabile.
Ne deriva che, qualunque sia stato il livello di intensità o gravità della violenza o della minaccia, la fattispecie estorsiva è integrata soltanto quando abbia di mira l’attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all’autorità giudiziaria.
Cassazione penale, sez. II, 19 dicembre 2013, n. 51433