Cassazione civile, sez. I, 12 luglio 2013, n. 17255
Secondo l’orientamento consolidato della Casssazione (Cass., sez. 1, 31 luglio 2008 n. 20893; Cass., sez. 1, 9 settembre 1997, n. 8784; Cass., sez. 1, 10 aprile 1979 n. 2055), la cessione di quote societarie si perfeziona, in base al principio consensualistico, alla data della stipulazione ed è pertanto immediatamente valida ed efficace tra le parti mentre resta soggetta alla disciplina di cui all’art. 2322 c.c., ed eventualmente statutaria, ai soli fini dell’opponibilità all’ente societario ed agli altri soci: e cioè, in ordine ad aspetti successivi ed estrinseci alla fattispecie traslativa.
Ne deriva che il fallimento personale del socio di una società di persone, comportando la sua esclusione di diritto dalla compagine sociale (art. 2288 c.c.), determina la perdita della capacità dispositiva della sua partecipazione sociale. Ma se, come nella specie, il socio abbia ceduto la quota quando ancora godeva del potere dispositivo pieno, in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, resta irrilevante che il consenso degli altri soci, richiesto al solo fine dell’opponibilità alla società, intervenga dopo la sentenza di fallimento.
La natura di condicio juris propria del consenso richiesto – e non di elemento essenziale dell’atto traslativo, che è immediatamente produttivo di effetti reali, sia pur limitato alle parti contraenti – ne importa, una volta intervenuto, la retroattività degli effetti alla data dell’atto dispositivo (Cass., sezioni unite, 4 dicembre 1975 n. 4010) e quindi alla data in cui il cedente, successivamente fallito, godeva ancora della propria capacità di agire in sede patrimoniale.
Cassazione civile, sez. I, 12 luglio 2013, n. 17255