In materia di favoreggiamento della prostituzione si registrano in giurisprudenza orientamenti contrastanti sulla rilevanza penale della condotta di colui il quale si limiti a far entrare in contatto la persona intenzionata a prostituirsi con il soggetto concretamente in grado di agevolare l’esercizio di tale attività (ad es., come nel caso di specie, in qualità di gestore di una casa di meretricio). La sentenza in epigrafe, in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Firenze, ha confermato la responsabilità dell’imputata che, pur senza percepire alcuna utilità e dopo insistenti richieste da parte di un’amica, accompagnava quest’ultima nei locali dove anch’essa usava prostituirsi per presentarla al gestore della casa di meretricio.
Ad avviso del Supremo Collegio non può escludersi il contributo casuale dell’imputata all’esercizio della prostituzione da parte della persona offesa, in quanto il reato di favoreggiamento della prostituzione “si concretizza ogni qualvolta un soggetto ponga in essere una qualsiasi attività per agevolare l’esercizio e richiede in capo all’agente, quale elemento psicologico, il dolo generico e non quello specifico”.
Pur tuttavia, come si accennava in premessa, la giurisprudenza di legittimità, nonostante la chiara lettera della norma di riferimento (art. 3 L. n. 75/1958) che sanziona, tra le altre ipotesi, “chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui”, non sempre si spinge ad attribuire rilevanza penale al comportamento di chi abbia svolto un ruolo marginale nel concorso del reato di sfruttamento della prostituzione, ritenendo necessario per l’integrazione degli estremi del reato de quo una condotta materiale concretizzatasi in un oggettivo aiuto all’esercizio del meretricio in quanto tale e non in un semplice aiuto alla prostituta intesa in quanto persona (v. Cass. pen., sez. III, sent. 19 luglio 2000, n. 8345).