Benché allo stato attuale della legislazione italiana le pratiche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (ovverosia in cui il seme oppure l’ovulo – cd. ovodonazione – provengono da un soggetto esterno alla coppia) risultino essere vietate, stante il disposto di cui al terzo comma dell’art. 4 della Legge 40/2004, stabilisce l’art. 9, comma 1 della medesima legge che “qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo etorologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3 il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’art. 235, comma 1, nn. 1 e 2 c.c., né l’impugnazione di cui all’art. 263 dello stesso codice”.
Una lettura costituzionalmente orientata di tale dato normativo induce a ritenere che il legislatore abbia inteso stabilire un preciso limite al favor veritatis e pertanto, anche a fronte di un divieto generalizzato di disconoscimento del figlio nato da inseminazione artificiale eterologa, si è introdotta una specifica eccezione tema di legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 235 c.c., escludendola nelle sole ipotesi in cui, anche “per facta concludentia”, sia desumibile il consenso del coniuge che tale azione intenda esperire al ricorso al più volte indicato metodo di fecondazione assistita.
In tutte le ipotesi non contemplate dalla norma derogatrice in esame, ovvero quelle nelle quali difetti l’elemento ostativo alla legittimazione ad agire costituito dal consenso preventivo alla fecondazione eterologa, l’azione di disconoscimento deve diversamente ritenersi ammissibile.
Una volta escluso il principio dell’incompatibilità fra fecondazione artificiale e disconoscimento, non sembra possano sussistere limiti per l’esercizio di tale azione da parte del padre come anche del figlio, certamente estraneo al consenso eventualmente prestato dal genitore e portatore di un interesse alla verità biologica che deve considerarsi meritevole di tutela.
Inoltre l’integrazione, nei termini sopra indicati, delle ipotesi previste dall’art. 235 c. c. non può non raccordarsi, stante l’identità della ratio e, comunque, per evidenti ragioni sistematiche, alle ipotesi di decadenza ai fini dell’esercizio dell’azione di disconoscimento previste dall’art. 244 c.c. E pertanto con riferimento ai casi in cui non risulti un consenso preventivo del coniuge all’inseminazione eterologa il termine annuale di decadenza per esperire l’azione di disconoscimento della paternità ex art. 235 c.c. decorrerà dal momento in cui il padre sia venuto a conoscenza del concepimento per mezzo di tale metodo di procreazione.
Cassazione civile, sez. I, 11 luglio 2012, n. 11644