Il TAR Lazio ha respinto con plurime argomentazioni il ricorso cautelare avanzato da alcuni insegnanti avverso l’obbligo di dotarsi di certificazione verde o Green pass per potersi recare sul posto di lavoro.
Secondo il TAR il DL 10 settembre 2021 n. 122, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza da COVID-19 in ambito scolastico, della formazione superiore e socio sanitario-assistenziale, che è intervenuto modificando il DL 44/2021 ed il DL 52/2021, non determina alcuna violazione dell’art. 41 Cost., atteso che la richiesta di munirsi ed esibire la certificazione verde per l’accesso agli istituti scolastici non si pone in contrasto con i principi costituzionali intesi a salvaguardare l’iniziativa economica dei privati.
Neppure sussiste alcuna violazione dell’art. 32 Cost., secondo cui «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana» atteso che per ottenere il Green pass non è necessario sottoporsi al vaccino essendo possibile dimostrare di essere negativi al Covid-19 con un tampone ovvero di essere guariti dall’infezione da Covid-19 da non più di sei mesi.
Quanto alle dedotte violazioni della privacy, avendo a riguardo il trattamento dei dati personali, il TAR ha rammentato che il Garante ha già espresso parere favorevole.
Per quanto attiene all’automatismo nell’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro dopo cinque giorni consecutivi di assenza per mancato possesso della certificazione verde, senza l’instaurazione del procedimento disciplinare previsto dal T.U. per il pubblico impiego, il TAR ha rilevato «che, in disparte lo jus superveniens che ha esteso l’obbligo della certificazione verde a tutti i dipendenti pubblici e privati, prevedendo la sola sospensione stipendiale in luogo della sanzione disciplinare per i soggetti sprovvisti di tale documento, il pregiudizio lamentato nel caso di specie è solo potenziale e, peraltro, la sua concretizzazione postulerebbe l’effettiva adozione di un provvedimento disciplinare sulla cui legittimità, dopo la privatizzazione del pubblico impiego, il sindacato spetta al giudice del lavoro e non al giudice amministrativo».
Infine non è stata ritenuta condivisibile la tesi secondo cui il costo per ottenere il green pass mediante l’effettuazione di tamponi dovrebbe essere sostenuto dal datore di lavoro, venendo in rilievo una fattispecie accomunabile a quella dei dispositivi individuali di protezione (D.P.I.) previsti dal d.lgs. n. 81/2008, atteso che l’obbligo di esibire la certificazione verde non riguarda solo i luoghi di lavoro ma anche tutti quei luoghi indicati dalla normativa vigente, venendo in rilievo una disposizione che ha per destinatari la generalità dei consociati, e non soltanto i lavoratori, e che si prefigge l’obiettivo di tutelare la salute pubblica in via generale, prevenendo la diffusione della pandemia, e non quello di tutelare la salute individuale dei lavoratori.