La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale:
- dell’art. 24 del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, nella parte in cui non prevede, tanto nella versione antecedente, quanto in quella successiva alle modifiche intervenute ad opera d.lgs. 2 ottobre 2018, n. 122, che nel certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 c.d.s. che sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché dell’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato medesimo ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada;
- dell’art. 25 d.P.R. n. 313 del 2002, nel testo in vigore anteriormente alla sua abrogazione ad opera del d.lgs. n. 122 del 2018, nella parte in cui non prevede che nel certificato penale del casellario giudiziale richiesto dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 cod. strada che sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché dell’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato medesimo ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada.
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate al riguardo sono state ritenute fondate con riferimento all’art. 27, terzo comma, Cost., per le medesime ragioni già evidenziate dalla sentenza n. 231 del 2018 in relazione alla messa alla prova.
La sentenza n. 231 del 2018 della Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto di censura, nel testo anteriore alle modifiche recate dal citato d.lgs. n. 122 del 2018, nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale e nel certificato penale del casellario giudiziale richiesti dall’interessato non siano riportate le iscrizioni dell’ordinanza di sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato ai sensi dell’art. 464-quater del codice di procedura penale e della successiva sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen.
A tale riguardo è stato osservato che «una volta che il reato si sia estinto per effetto del positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, che testimonia il percorso rieducativo compiuto dal condannato, la menzione nei certificati del casellario richiesti dall’interessato della vicenda processuale ormai definita contrasterebbe con la ratio della stessa dichiarazione di estinzione del reato, che comporta normalmente l’esclusione di ogni effetto pregiudizievole – anche in termini reputazionali – a carico di colui al quale il fatto di reato sia stato in precedenza ascritto. La menzione della condanna per il reato ormai estinto finirebbe, infatti, per creargli più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustificato da ragioni plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti. (cfr. sentenza n. 231 del 2018)
In tale prospettiva, la menzione dei provvedimenti di cui all’art. 186, comma 9-bis, cod. strada risulterebbe disfunzionale all’obiettivo costituzionalmente imposto della rieducazione del reo, tale menzione essendo «suscettibile di risolversi in un ostacolo al reinserimento sociale del soggetto che abbia ottenuto, e poi concluso con successo, lo svolgimento del lavoro sostitutivo, creandogli [...] più che prevedibili difficoltà nell’accesso a nuove opportunità lavorative, senza che ciò possa ritenersi giustificato da ragioni plausibili di tutela di controinteressi costituzionalmente rilevanti».
Analogamente a quanto affermato per la messa alla prova, infatti, anche nel caso di estinzione del reato in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, l’esigenza di garantire che la sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità non sia concessa più di una volta (art. 186, comma 9-bis, ultimo periodo, cod. strada) e che in caso di recidiva nel biennio sia revocata la patente (art. 186, comma 2, lettera c, cod. strada) è già adeguatamente soddisfatta dall’obbligo di iscrizione dei provvedimenti in questione e della loro menzione nel certificato “ad uso del giudice”.