Cassazione civile, sez. I, 24 marzo 2005, n. 6360
L’illecito amministrativo previsto dall’art. 10, comma 1, l. 25 agosto 1991 n. 287 a carico di “chiunque eserciti l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza l’autorizzazione di cui all’art. 3, oppure quando questa sia stata revocata o sospesa”, ha – nonostante l’uso del termine “chiunque” – carattere “proprio”, ossia può essere commesso esclusivamente dall’imprenditore titolare dell’attività e non, in particolare, dal suo dipendente addetto alla somministrazione.
Diversamente opinando – ritenendo, cioè, che l’illecito amministrativo de quo debba qualificarsi come “comune” e, quindi, addebitabile a “chiunque” ed anche, ad esempio, al “dipendente” dell’imprenditore, titolare dell’esercizio commerciale (come avvenuto nella specie) – si finirebbe con l’imporre al semplice dipendente un comportamento inesigibile, in quanto non previsto dalla legge: l’onere, cioè, di assicurarsi, prima dell’instaurazione del rapporto e dello svolgimento della propria attività, che il proprio datore di lavoro sia munito (anche) della specifica autorizzazione all’esercizio dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande.
Legge 287/1991 – Art. 10 Sanzioni.
A chiunque eserciti l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande senza l’autorizzazione, ovvero senza la segnalazione certificata di inizio di attivita’, ovvero quando sia stato emesso un provvedimento di inibizione o di divieto di prosecuzione dell’attività ed il titolare non vi abbia ottemperato, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 2.500 euro a 15.000 euro e la chiusura dell’esercizio
Cassazione civile, sez. I, 24 marzo 2005, n. 6360