Corte Costituzionale, 20 novembre 2017, n. 241
Incostituzionale l’ultimo capoverso dell’art 152 disp. att. c.p.c. essendo eccessiva la sanzione dell’inammissibilità del ricorso in materia di previdenza per il caso in cui parte ricorrente ometta di dichiarare il valore della prestazione dedotta in giudizio
L’ultimo capoverso dell’art 152 disp. att. cod. proc. civ, inserito dall’art. 38 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, in legge 15 luglio 2011, n. 111, prevede che, a pena di inammissibilità del ricorso, parte ricorrente debba formulare apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo.
Tale dichiarazione è funzionale a quanto previsto dal capoverso immediatamente precedente – introdotto dall’art. 52 della legge 18 giugno 2009, n. 69 – secondo cui “Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio.”
Nel giudizio di costituzionalità è venuta in discussione l’eccessiva gravosità della sanzione dell’inammissibilità del ricorso, che integrerebbe una penalizzazione irragionevole e sproporzionata, a fronte di un mancato adempimento di rilevanza meramente formale, ed eccedente rispetto al fine perseguito dal legislatore.
È evidente la stretta correlazione che lega l’ultimo ed il penultimo capoverso dell’art. 152 delle disp. att.ne c.p.c. ed è esplicita la ratio sottesa al complessivo intervento normativo consistente nell’esigenza di evitare l’utilizzo abusivo del processo che, in materia previdenziale, veniva spesso instaurato per soddisfare pretese di valore economico irrisorio, al solo fine di conseguire le spese di lite.
Ed infatti nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) si chiarisce che l’obbligo di dichiarare il valore della prestazione ha lo scopo di commisurare a tale valore il limite massimo alla liquidazione delle spese processuali (già introdotto dalla legge n. 69 del 2009), intendendosi così «scoraggiare fenomeni elusivi consistenti nella prassi di non quantificare il petitum, limitandosi a richiedere un accertamento generico ovvero indicando valori generici o richieste non sufficientemente quantificate» ed evidentemente pretestuose.
Entrambe le disposizioni esaminate, dunque, mirano a deflazionare il contenzioso bagatellare, ma quella che prevede di non liquidare le spese in misura superiore al «valore della prestazione dedotta in giudizio» è di per sé sola già idonea a perseguire pienamente lo scopo.
In particolare, essa è chiamata ad operare nel momento della liquidazione delle spese, normalmente coincidente con la fine del giudizio, quando il giudice conosce il valore della prestazione. Pertanto egli non avrà bisogno della quantificazione contenuta nell’atto introduttivo, ma sarà sottoposto al vincolo derivante dal limite legale imposto alla liquidazione.
L’effetto deflattivo a cui mira il suddetto limite è, comunque, conseguito ed è idoneo a scoraggiare l’instaurarsi di liti pretestuose.
L’obiettivo di evitare la strumentalizzazione del processo, attraverso la sanzione di inammissibilità, va bilanciato con la garanzia dell’accesso alla tutela giurisdizionale e della sua effettività.
Seppure, infatti, la declaratoria di inammissibilità non precluda la riproposizione dell’azione giudiziaria, essa si traduce comunque in un aggravio per la parte, che dovrà ricominciare ex novo il giudizio.
Pertanto, le conseguenze sfavorevoli derivanti dall’inammissibilità non sono adeguatamente bilanciate dall’interesse ad evitare l’abuso del processo che è già efficacemente realizzato dalla disciplina introdotta dalla novella di cui all’art. 52 della legge n. 69 del 2009.
L’eccessiva gravità della sanzione e delle sue conseguenze, rispetto al fine perseguito, comporta, quindi, la manifesta irragionevolezza dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., ultimo periodo, il quale prevede che «A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo».
Art. 152 Disp. Att. Cod. proc. Civ.
Esenzione dal pagamento di spese, competenze e onorari nei giudizi per prestazioni previdenziali
Nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali la parte soccombente [91 c.p.c.], salvo comunque quanto previsto dall’articolo 96, primo comma, del codice di procedura civile, non può essere condannata al pagamento delle spese, competenze ed onorari quando risulti titolare, nell’anno precedente a quello della pronuncia, di un reddito imponibile ai fini IRPEF, risultante dall’ultima dichiarazione, pari o inferiore a due volte l’importo del reddito stabilito ai sensi degli articoli 76, commi da 1 a 3, e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. L’interessato che, con riferimento all’anno precedente a quello di instaurazione del giudizio, si trova nelle condizioni indicate nel presente articolo formula apposita dichiarazione sostitutiva di certificazione nelle conclusioni dell’atto introduttivo e si impegna a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito verificatesi nell’anno precedente. Si applicano i commi 2 e 3 dell’articolo 79 e l’articolo 88 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002. Le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possono superare il valore della prestazione dedotta in giudizio. A tale fine la parte ricorrente, a pena di inammissibilità di ricorso, formula apposita dichiarazione del valore della prestazione dedotta in giudizio, quantificandone l’importo nelle conclusioni dell’atto introduttivo.
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Corte Costituzionale, 20 novembre 2017, n. 241