Le buste paga sono sufficienti per l’insinuazione al passivo fallimentare da parte del lavoratore salvo contestazioni del Curatore fallimentare basate su altri mezzi di prova
Secondo i consolidati i principi giurisprudenziali in materia di efficacia probatoria, in merito al credito retributivo insinuato dal lavoratore allo stato passivo fallimentare, le buste paga rilasciate dal datore di lavoro sono pienamente valide come prova, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del suo timbro (Cass. 1 settembre 2015, n. 17413):
Resta tuttavia ferma la facoltà della curatela di contestare le risultanze delle buste paga con altri mezzi di prova, ovvero con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice (Cass. 5 luglio 2019, n. 18169; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32395).
Nel caso di specie il curatore fallimentare ha opposto al lavoratore il mancato rinvenimento in contabilità di alcun riscontro del rapporto di lavoro; l’insufficienza della documentazione prodotta; l’assenza di produzione del contratto o del libretto di lavoro ed altri elementi come la cessazione dell’attività produttiva.
Cassazione civile, sez. lavoro, 7 gennaio 2021.. n. 74