«In tema di interpretazione dei contratti, il criterio del riferimento al senso letterale delle parole adoperate dai contraenti si pone come strumento di interpretazione fondamentale e prioritario, con la conseguenza che, ove le espressioni adoperate nel contratto siano di chiara e non equivoca significazione, la ricerca della comune volontà resta esclusa, restando superata la necessità del ricorso agli ulteriori criteri contenuti nell’art. 1362 c.c. e ss., i quali svolgono una funzione sussidiaria e complementare (cfr. Cass. 25.6.1985, n. 3823)».
Inoltre, come affermato dalla cassazione civile, sez. III, in sentenza 13/08/2015, n. 16795 «I canoni legali di ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di gerarchia – desumibile dal sistema delle stesse regole – in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi e ne escludono la concreta operatività, quando l’applicazione degli stessi canoni strettamente interpretativi risulti, da sola, sufficiente per rendere palese la comune intensione delle parti stipulanti. Nell’ambito dei canoni strettamente interpretativi, poi, risulta prioritario il canone fondato sul significato letterale delle parole. Quando quest’ultimo canone risulti sufficiente, quindi, l’operazione ermeneutica è utilmente e definitivamente conclusa. Ciò perché l’articolo 1362, comma 2, del Cc, che invita a identificare il significato dell’atto in base al comportamento complessivo delle parti, va applicato in via sussidiaria, ove la interpretazione letterale e logica sia insufficiente».
Art, 1362 cod. civ. Intenzione dei contraenti.
Nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole.
Per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto.
Massima tratta da: Estratto della sentenza
Cassazione civile, sez. II, 6 novembre 2015, n. 22701