«Il giudice tributario, in sede di impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal procuratore della Repubblica, ai sensi dell’art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in tema di imposta sul valore aggiunto – reso applicabile anche ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi dal richiamo operato dall’art. 33 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 – , ha il potere – dovere (in ossequio al canone ermeneutico secondo cui va privilegiata l’interpretazione conforme ai precetti costituzionali, nella specie agli artt. 14 e 113 Cost.), oltre che di verificare la presenza, nel decreto autorizzativo, di motivazione – sia pure concisa o “per relationem” mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente – circa il concorso di gravi indizi del verificarsi dell’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziaria».
A fronte del sopra trascritto principio di diritto, già enunciato dalle Sezioni unite civili nella sentenza n. 16424/2002, è stato accolto il ricorso del contribuente fatto oggetto ispezione in casa da parte della Guardia di Finanza, autorizzata con decreto del Procuratore della Repubblica tuttavia privo dell’indicazione dei gravi indizi di evasione fiscale e senza che gli stessi risultassero neppure dalla relativa richiesta di autorizzazione.
Cassazione civile, sez. V tributaria, 20 marzo 2009, n. 6836