Corte Costituzionale, 21 marzo 2018, n. 88
Legge Pinto, ora il ricorso può essere proposto (di nuovo) in pendenza del giudizio presupposto. Incostituzionale il testo dell’art. 4 riformato dal dl 83/2012 che aveva posticipato il ricorso al momento in cui la decisione che conclude il procedimento fosse divenuta definitiva.
È stata dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della cd. Legge Pinto (legge 24 marzo 2001, n. 89 – Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo..) – come sostituito dall’art. 55, comma 1, lettera d), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, possa essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.
Il testo dell’articolo, dopo la riforma del 2012, è (era) il seguente “La domanda di riparazione puo’ essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento e’ divenuta definitiva”
In altri termini solo a conclusione del procedimento giudiziario, con decisione definitiva, si apriva una finestra temporale di sei mesi per la proposizione del ricorso per ottenere un risarcimento in ragione dell’irragionevole durata del processo.
Diversamente, prima della novella del 2012, la domanda per equa riparazione poteva essere proposta anche in corso di giudizio, come previsto nel testo originario della norma:
“La domanda di riparazione può essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata, ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva”.
Ebbene – osserva la Corte – se la ratio della legge è quella di tutelare il diritto del cittadino “a veder definite in un tempo ragionevole le proprie istanze di giustizia, rinviare alla conclusione del procedimento presupposto l’attivazione dell’unico strumento disponibile volto a rimediare alla sua lesione, seppur a posteriori e per equivalente, significa inevitabilmente sovvertire la ratio per la quale è concepito, connotando di irragionevolezza la relativa disciplina”.
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Corte Costituzionale, 21 marzo 2018, n. 88