Il beneficiario di amministrazione di sostegno è dotato di autonoma legittimazione processuale non solo ai fini dell’apertura della procedura di amministrazione di sostegno medesima ma anche per impugnare i provvedimenti adottati dal giudice tutelare nel corso della stessa.
L’assistenza dell’amministratore di sostegno e la previa autorizzazione del giudice tutelare è necessaria invece per l’instaurazione dei giudizi nei confronti di terzi estranei a tale procedura.
Ai sensi del combinato disposto dell’art. 374 c.c., n. 5 e art. 411 c.c., i beneficiari di una amministrazione di sostegno, per promuovere un’azione giudiziaria nei confronti di terzi (pur con le eccezioni previste dallo stesso art. 374 c.c., n. 5), devono essere autorizzati dal Giudice Tutelare, dovendosi osservare la disciplina generale di cui l’art. 75 c.p.c., secondo cui le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità (art. 374 c.c., n. 5 e art. 411 c.c.).
Tuttavia, gli stessi beneficiari sono dotati di una autonoma legittimazione processuale ai diversi fini dell’apertura di un’amministrazione di sostegno e per impugnare i provvedimenti adottati dal Giudice Tutelare nel corso di tale procedura.
Tale legittimazione trova il proprio fondamento normativo, in primo luogo, nell’art. 406 c.c., che costituisce una evidente deroga alla regola generale dell’art. 75 c.p.c., attribuendo la legittimazione processuale a proporre il ricorso per l’istituzione dell’Amministrazione di Sostegno allo stesso beneficiario “anche se minore, o interdetto o inabilitato”, dunque a soggetti normalmente privi della capacità d’agire e quindi della capacità processuale.
Peraltro, è, altresì, evidente, che il beneficiario è legittimato non solo a proporre il ricorso per l’istituzione di una amministrazione di sostegno, ma anche ad impugnare il provvedimento con cui il Giudice Tutelare abbia deciso sull’apertura di tale procedura (vedi sul punto Cass. 22602/17 in cui la Suprema Corte, su ricorso dello stesso beneficiario che contestava la qualità di figlio - e quindi di soggetto indicato all’art. 417 c.c. - di colui che aveva intrapreso l’iniziativa per l’apertura della procedura, ha accolto il ricorso del beneficiario).
Vi è, inoltre, un’altra norma da cui si evince l’autonoma legittimazione processuale del beneficiario a promuovere i ricorsi nell’ambito di una amministrazione di sostegno e ad impugnare i provvedimenti emessi dal Giudice Tutelare.
Si tratta dell’art. 411 c.c., comma 4, che dispone che “il giudice tutelare, nel provvedimento con cui nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previste da disposizioni di legge per l’interdetto o per l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che può essere presentato anche dal beneficiario direttamente”. Dunque, il beneficiario può presentare ricorso ex art. 411 c.c. anche “successivamente” al provvedimento con cui il giudice tutelare nomina l’amministratore di sostegno” e può farlo “direttamente”, quindi senza dover essere assistito o autorizzato.
D’altra parte, che il beneficiario possa impugnare direttamente i provvedimenti adottati dal Giudice Tutelare senza l’autorizzazione di costui trova la propria giustificazione in una sorta di evidente conflitto di interessi in cui si troverebbe, diversamente, lo stesso giudice Tutelare, che sarebbe chiamato valutare l’impugnabilità di provvedimenti dallo stesso emessi.
Cassazione civile, sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5380