In materia di licenziamento disciplinare vige il principio dell’immediatezza della contestazione, di cui all’art. 7, l. 20 maggio 1970, n. 300, che mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile.
Il principio della tempestività della contestazione e della sanzione disciplinare e finanche del recesso dal rapporto di lavoro discende dalla regola della buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, oltre che dei principi di certezza del diritto e di tutela dell’affidamento del lavoratore incolpato.
Tale principio deve tuttavia essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo necessario, in relazione al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, ad una adeguata valutazione della gravità dell’addebito mosso al dipendente e delle giustificazioni da lui fornite.
Più in particolare, si è affermato che, nel valutare l’immediatezza della contestazione ai fini dell’intimazione del licenziamento disciplinare, occorre tener conto dei contrapposti interessi del datore di lavoro a non avviare procedimenti senza aver acquisito i dati essenziali della vicenda e del lavoratore a vedersi contestati i fatti in un ragionevole lasso di tempo dalla loro commissione.
Ad esempio il fatto che il datore di lavoro abbia presentato a carico di un lavoratore denuncia per un fatto penalmente rilevante, connesso con la prestazione di lavoro, non consente a questi di attendere gli esiti del procedimento penale prima di procedere alla contestazione dell’addebito, dovendosi valutare la tempestività di tale contestazione in relazione al momento in cui i fatti a carico del lavoratore medesimo appaiono ragionevolmente sussistenti (cfr. Cass. n. 1101/2007; Cass. n. 4502/2008).
In altri termini l’intervallo di tempo trascorso tra il fatto oggetto dell’addebito e la sua contestazione si giustifica non in relazione alla necessità di un accertamento integrale e compiuto del fatto medesimo, ma all’esigenza per il datore di lavoro di acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo (cfr., in tali termini, Cass. 7409/2010).