«La locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari rientra nell’ambito di applicazione della gestione di affari ed è soggetta alle regole di tale istituto, tra le quali quella di cui all’art. 2032 c.c., sicché, nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l’operato del gestore e, ai sensi dell’art. 1705, secondo comma, c.c., applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 cod. civ., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa».
Con la sentenza che si va a commentare le Sezioni Unite della Corte di Cassazione risolvono un contrasto tra due distinti orientamenti di legittimità, uno volto a far rientrare la fattispecie della locazione della cosa comune da parte di uno solo dei comproprietari nel modello negoziale del mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c.), l’altro in quello della gestione di affari altrui (art. 2028-2032 c.c.).
L’applicazione di tali orientamenti, fatti propri rispettivamente dal giudice di primo grado e dal giudice d’appello, conduce a conseguenze diametralmente opposte.
Infatti, il giudice di primo grado aveva accolto la domanda del comproprietario non locatore a ricevere la metà del canone di locazione con la condanna del conduttore al pagamento di tale quota a far data dalla domanda giudiziale, ritenendo appunto applicabile l’istituto del mandato senza rappresentanza e, in particolare, l’art. 1705 c.c. che consente al mandante, sostituendosi al mandatario, di esercitare i diritti di credito derivanti dal mandato.
Di diverso avviso il giudice d’appello che, respingendo tale impostazione, aveva ravvisato nella citata fattispecie non un mandato ma una gestione nel presunto interesse comune, valida ed efficace anche se compiuta all’insaputa di altri interessati, con conseguente esclusione di qualsiasi interferenza nella sfera giuridica del terzo che rimane vincolato in via esclusiva con il locatore, anche se quest’ultimo abbia violato i limiti dei poteri che gli spettano ex art 1105 c.c., essendo sufficiente ai fini della stipula della locazione che abbia la disponibilità della cosa locata. Gli altri comproprietari non possono quindi agire per il rilascio o per la rivendica del bene, ma possono vantare esclusivamente il diritto al risarcimento dei danni.
Per tale via il giudice d’appello rigetta la condanna ottenuta in primo grado dal comproprietario non locatore (della metà dell’immobile adibito ad uso commerciale) al pagamento da parte del conduttore della metà del canone corrisposto, con gli interessi legali sui canoni scaduti dalla scadenze al saldo.
Le Sezioni Unite, dopo aver ripercorso le linee evolutive dei distinti indirizzi giurisprudenziali fondanti le soluzioni adottate dal giudice di primo e di secondo grado, mettono in evidenza l’esistenza di un terzo indirizzo giurisprudenziale, recente ma consolidato, secondo il quale sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari, in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne consegue che il singolo condomino oltre ad essere legittimato a stipulare il contratto può anche agire per il rilascio dell’immobile, “purché non risulti l’espressa ed insuperabile volontà contraria degli altri comproprietari, la quale fa venir meno il presunto consenso della maggioranza” (così, Cass. n. 9113 del 1995).
Premesso che la gestione di affari consiste nel compimento di atti giuridici spontaneamente ed utilmente posti in essere dal gestore nell’altrui interesse in assenza di ogni rapporto contrattuale in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui (Cass. n. 46233 del 2001; Cass. n. 18626 del 2003), il Collegio ritiene che la fattispecie della locazione della cosa comune vada ricondotta nell’ambito di applicazione delle disposizioni concernenti la gestione d’affari altrui, essendo in grado di offrire una soluzione tale da contemperare gli interessi delle parti coinvolte.
In base a questo indirizzo giurisprudenziale, il comproprietario locatore assume rispetto ai comunisti che non hanno partecipato alla formazione del contratto la qualità giuridica del gestore di affari e non del mandatario; gli altri comunisti non divengono quindi parti del contratto e non possono opporre al terzo le violazioni commesse dal gestore. Perciò, il terzo che non è a conoscenza del divieto della maggioranza dei comunisti o, come nel caso di specie, del veto del comproprietario titolare di quota di pari valore a quella dello stipulante, resta vincolato fino alla cessazione degli effetti del contratto al regolamento d’interessi originario. In base a tale configurazione, il principio della tutela del legittimo affidamento del terzo non viene compromesso; dal suo canto, il comproprietario non locatore, ove ne sia a conoscenza, può esprimere preventivamente il proprio dissenso alla stipulazione della locazione del bene comune da parte del gestore, il che lo esonererebbe, ai sensi dell’art. 2031, comma 2, dal dovere di adempiere le obbligazioni che il gestore abbia assunto anche in nome proprio.
In base all’art. 2032 c.c., le Sezioni Unite affermano che pur in presenza di una gestione non rappresentativa, la ratifica dell’interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato (art. 2032). Tra i detti effetti, rileva quindi, ai fini della soluzione del caso in esame, l’art. 1705 c.c., comma 2, che abilita il comproprietario non locatore a richiedere, per il tempo successivo alla ratifica, il pagamento pro quota del canone del conduttore. Tuttavia, è bene ricordare che, nel caso di gestione non rappresentativa, ai sensi dell’art. 1705 c.c., 2 comma, il mandante potrà sostituirsi al mandatario per il solo esercizio dei diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato, gli sarà quindi precluso il compimento di ogni altra azione derivante dal contratto.
Premesso che la ratifica non necessita di particolari formalità (ravvisata infatti nel caso di specie nella condotta del comproprietario non locatore che, in contraddittorio col comproprietario locatore, rivolga al conduttore la domanda di vedersi attribuito il 50% dei canoni per il periodo successivo alla ratifica stessa), la sentenza impugnata viene cassata con rinvio, a causa dell’omesso accertamento da parte della Corte d’appello sulla sussistenza di eventuale ratifica da parte del comproprietario non locatore del contratto di locazione sottoscritto dall’altro comproprietario.