Nella scelta del magistrato cui affidare incarichi direttivi occorre avere conto sia delle esperienze pregresse che degli indicatori attitudinali specifici a ben ricoprire l’ufficio.
Nella scelta del magistrato cui affidare incarichi direttivi di uffici giudiziari occorre avere conto sia delle esperienze pregresse che degli indicatori attitudinali specifici a ben ricoprire l’ufficio.
Segnatamente gli indicatori attitudinali specifici sono elementi di valutazione differenziati per tipologie omogenee di uffici che, in particolare, mirano a selezionare le esperienze giudiziarie che esprimano una particolare idoneità a ricoprire l’incarico messo a concorso.
Gli indicatori attitudinali tuttavia non possono arrivare a semplicemente sopravanzare gli elementi esperienziali connessi al merito professionale generale. Inoltre a norma dell'art. 26, comma 2 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria il giudizio attitudinale è formulato in maniera complessiva e unitaria, frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori.
Ai sensi dell’art. 12, comma 12, del d.lgs. n. 160 del 2006 , del resto, ai fini del conferimento delle funzioni direttive di uffici giudiziari di questo tipo, «l’attitudine direttiva è riferita alla capacità di organizzare, di programmare e di gestire l’attività e le risorse in rapporto al tipo, alla condizione strutturale dell’ufficio e alle relative dotazioni di mezzi e di personale; è riferita altresì alla propensione all’impiego di tecnologie avanzate, nonché alla capacità di valorizzare le attitudini dei magistrati e dei funzionari, nel rispetto delle individualità e delle autonomie istituzionali, di operare il controllo di gestione sull’andamento generale dell’ufficio, di ideare, programmare e realizzare, con tempestività, gli adattamenti organizzativi e gestionali e di dare piena e compiuta attuazione a quanto indicato nel progetto di organizzazione tabellare».
La legge richiede dunque l’esigenza di selezionare il candidato più idoneo non in una prospettiva astratta, ma in ragione delle specifiche caratteristiche e delle concrete esigenze organizzative dell’ufficio ad quem.
A tale obiettivo sono strumento gli indicatori generali dell’attitudine direttiva, quali previsti agli artt. da 6 a 13 [che per la Relazione introduttiva sono “costituiti da esperienze giudiziarie ed esperienze maturate al di fuori della giurisdizione, che hanno consentito al magistrato di sviluppare competenze organizzative, abilità direttive, anche in chiave prognostica, e conoscenze ordinamentali”], e gli indicatori specifici, quali partitamente previsti agli artt. da 14 a 33 del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria (nel caso di specie, per la tipologia dell’ufficio, rileva l’art. 18).
La funzione degli indicatori generali è di ricostruire in maniera completa ed esaustiva le caratteristiche rilevanti della figura professionale del magistrato: agli artt. da 7 a 13 del Testo Unico vengono infatti descritte le varie attività che rilevano ai fini dell’inerente valutazione.
Gli indicatori specifici sono invece elementi di valutazione differenziati per tipologie omogenee di uffici; in particolare, mirano a selezionare le esperienze giudiziarie che esprimano una particolare idoneità a ricoprire l’incarico messo a concorso.
L’art. 25, poi, circa le finalità della valutazione comparativa tra i candidati, chiarisce che “la valutazione comparativa degli aspiranti è effettuata al fine di preporre all’ufficio il candidato più idoneo per attitudini e merito, avuto riguardo alle esigenze funzionali da soddisfare e, ove esistenti, a particolari profili ambientali”. Tale esigenza riflette il precedente art. 6 – che attribuisce rilievo alle proposte organizzative elaborate dai singoli candidati, sulla base dei dati e delle informazioni relative agli uffici contenuti nel bando – e l’art. 10, che sempre sotto tale profilo richiede ai candidati di presentare proposte organizzative specificamente riferite all’ufficio messo a concorso, recanti “l’analisi delle specificità del territorio in cui opera l’ufficio, sotto il profilo socioeconomico nonché, per gli Uffici requirenti, della realtà criminale”.
L’art. 26 (Valutazione comparativa delle attitudini), prevede che si proceda “alla valutazione analitica dei profili dei candidati mediante specifica disamina degli indicatori previsti nella Parte II, Capo I, attuativi ed esplicativi delle disposizioni di cui all’art. 12, commi 10, 11 e 12 D.Lgs. 160/2006” e, quindi, all’espressione di un giudizio attitudinale che, seppur in maniera complessiva e unitaria, sia frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori, e dia comunque espressamente conto dello “speciale rilievo” attribuito agli indicatori specifici individuati negli articoli da 15 a 23.
L’espressa attribuzione di “speciale rilievo” a determinati indici, vincola l’organo di governo autonomo a prenderli in considerazione ed a puntualmente motivare sulle ragioni che, eventualmente, inducano a ritenerli non rilevanti o comunque recessivi ai fini del giudizio di comparazione, tanto più ove non risultino posseduti da tutti i candidati indicati alla valutazione del Plenum.
La previsione per cui gli indicatori specifici hanno “speciale rilievo” va dunque intesa - come evidenzia anche la Relazione illustrativa del Testo unico - nel senso che gli “elementi e le circostanze sottese agli indicatori specifici, proprio per la loro più marcata attinenza al profilo professionale richiesto per il posto da ricoprire, abbiano un adeguato spazio valutativo e una rafforzata funzione selettiva”.
Ne deriva che, laddove un candidato possa vantare indicatori specifici, lo “speciale rilievo” che rivestono implica che la valutazione del CSM non possa prescinderne: sicché la decisione di preferire, nella valutazione, un candidato che ne sia privo (o sia in possesso di indicatori specifici meno significativi) richiede un particolare impegno motivazionale, volto ad evidenziare, attraverso il puntuale esame curriculare, la dominante “attitudine generale” o un particolare “merito”, perché i c.d. indicatori specifici sono criteri “settoriali”, in quanto rilevano ai fini della valutazione specifica dell’attitudine direttiva, ma non esauriscono l’intera figura professionale del magistrato, che va, invece, ricostruita nella sua complessità, tenendo conto degli indicatori generali e del “merito” (ex multis Cons. Stato, V, 16 ottobre 2017, n. 4786).
È immanente invero la considerazione, di ordine generale, che oggetto della valutazione debbono essere vuoi le esperienze pregresse (il c.d. merito), vuoi la capacità a bene ricoprire l’ufficio ad quem (le c.d. attitudini). E che pertanto gli indicatori attitudinali specifici sono elementi da doverosamente tenere in considerazione e adeguatamente e motivatamente valutare: ma questi non possono arrivare a semplicemente sopravanzare gli elementi esperienziali connessi al merito professionale generale (nella prospettiva formale del Testo Unico – che, si ribadisce, non ha valore normativo – rilevanti soprattutto mediante gli indicatori generali). D’altra parte, lo stesso Testo Unico, con previsione evidentemente di chiusura in tema di valutazione comparativa delle attitudini (art. 26, comma 2), afferma: «Il giudizio attitudinale è formulato in maniera complessiva e unitaria, frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori».
Consiglio di Stato, sez. V, 31 agosto 2021, n. 6125