L’uso del marchio CE contraffatto integra l’ipotesi di frode in commercio e non quella di introduzione in commercio di prodotti falsi
L’uso indebito del marchio CE non integra l’ipotesi criminosa di cui all’art. 474 c.p. (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi), che fa riferimento al marchio, inteso come elemento distintivo (segno o logo) idoneo ad identificare uno specifico prodotto o servizio rispetto ad altri (art. 2569 c.c. e r.d. 21 giugno 1942, n. 929, art. 1),
L’attestazione o marcatura CE ha la funzione di tutelare interessi pubblici, come la salute e la sicurezza degli utilizzatori dei prodotti, appartenenti ad una determinata tipologia, assicurando che essi siano conformi a tutte le disposizioni comunitarie che prevedono il loro utilizzo.
La marcatura CE non funge quindi da marchio di qualità o d’origine, ma costituisce un puro marchio amministrativo, che segnala che il prodotto marcato può circolare liberamente nel mercato unico dell’UE.
Ne consegue che l’apposizione del marchio CE contraffatto sui beni venduti configura il reato di frode in commercio di cui all’art. 515 del Codice Penale ovvero, nel caso in cui il bene non sia stato ancora consegnato al consumatore, il reato di tentativo di frode in commercio.
Art. 515 Codice Penale
Frode nell’esercizio del commercio.
Chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita, è punito, qualora il fatto non costituisca un più grave delitto, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065.
Se si tratta di oggetti preziosi, la pena è della reclusione fino a tre anni o della multa non inferiore a euro 103.