Devono ritenersi tardivi ed in quanto tali inammissibili i motivi aggiunti – ovvero introdotti nel giudizio amministrativo in un momento successivo rispetto al ricorso introduttivo – che siano indirizzati avverso atti presupposti, puntualmente citati nel provvedimento gravato e, pertanto, suscettibili di immediato apprezzamento, in base a criteri di ordinaria diligenza.
Si rammenta che l’istituto dei motivi aggiunti è di origine tipicamente giurisprudenziale, in quanto non previsto originariamente dal legislatore, ed è teso a mitigare il principio della rigidità dell’oggetto del processo amministrativo consentendo al ricorrente di introdurre nuove censure avveso atti che la P.A. abbia prodotto successivamente a quello fatto oggetto principale dell’impugnativa
L’istituto dei motivi aggiunti ha trovato primo riconoscimento nell’art. 21 della Legge TAR, così come sostituito dall’art.1, L.205/2000, che, a chiusura del primo comma, dispone(va): “tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante la proposizione dei motivi aggiunti”. Attraverso i motivi aggiunti si consente dunque una modifica del petitum e si consente l’impugnazione per connessione oggettiva sopravvenuta di atti successivi e diversi da quello inizialmente impugnato.
Più recentemente, con l’introduzione del Codice del Processo Anninistativo, la possibilità di impugnare i provvedimenti sopravvenuti nelle more del giudizio, originariamente subordinata alla sussistenza di una connessione oggettiva tra il provvedimento gravato e quelli successivamente emanati e soggettiva, nel senso che gli atti successivi fossero emanati dalla stessa Amministrazione, è stata ulteriormente ampliata. Tali limitazioni sono stati opportunamente espunte dal Codice del Processo Amministrativo (D. Lgs. 2 Luglio 2010 n. 104), che al primo comma dell’art. 43 ammette che “i ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, ovvero domande nuove purché connesse a quelle già proposte”. Tale formulazione, volutamente generica, è idonea a ricomprendere tipologie di connessione tra atti molto diverse, come ad es. il collegamento tra atti del medesimo procedimento, tra atto presupposto ed atto consequenziale, tra regolamento ed atto applicativo.
Consiglio di Stato, sez. VI, 26 giugno 2012, n. 3753