Il Codice del Processo Amministrativo affronta il dibattuto tema dell’ammissibilità dei motivi aggiunti in appello, e lo risolve nel senso che i motivi aggiunti sono consentiti solo per dedurre ulteriori censure in relazione ad atti e provvedimenti già impugnati con il ricorso di primo grado (o con rituale atto di motivi aggiunti proposto in prime cure), allorché i vizi ulteriori emergano da documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado (art. 104, co. 3, d.lgs. n. 104/2010); la previsione dei motivi aggiunti, inoltre, essendo comunque espressa in termini di facoltà, non preclude la possibilità che la parte interessata instauri un nuovo e autonomo ricorso in primo grado.
Deve pertanto escludersi la possibilità di motivi aggiunti in appello avverso atti diversi da quelli impugnati con il ricorso di primo grado, ancorché connessi ovvero impugnati in via meramente derivata.
In tal senso depone anche la relazione illustrativa del c.p.a., in cui si afferma che i motivi aggiunti in appello si rivolgono contro atti già impugnati in primo grado e che resta “…fermo il principio per cui nei confronti degli ulteriori provvedimenti amministrativi emessi o conosciuti nelle more del giudizio di appello va proposto un separato ricorso di primo grado” (pag. 46).
A tale conclusione si perviene:
a) in base al tenore letterale della norma sancita dall’art. 104, co. 3, d.lgs. 104/2010, che si riferisce a provvedimenti già impugnati in primo grado e a documenti preesistenti ma non prodotti nel giudizio davanti al T.a.r.;
b) sul piano logico e sistematico, in considerazione della portata generale del principio del doppio grado di giudizio che non consente ampliamenti del thema decidendum nel passaggio fra il primo ed il secondo grado di giudizio, non può incontrare deroghe implicite, è posto nell’interesse di tutte le parti in causa, è inderogabile dalle stesse costituendo espressione di ordine pubblico processuale (cfr. da ultimo, sul valore del principio alla luce del nuovo c.p.a., Cons. St., III, 5 maggio 2011, n. 2693; sez. V, 1 aprile 2011, n. 2031).