Cassazion civile, sez. I, 10 agosto 2012, n.14392
«In caso di violazione dell’obbligo di offerta pubblica di acquisto della totalità delle azioni di una società quotata in un mercato regolamentato da parte di chi, in conseguenza di acquisti azionari, sia venuto a detenere una partecipazione superiore al 30% del capitale sociale, compete agli azionisti cui l’offerta avrebbe dovuto esser rivolta il diritto di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale da essi sofferto, ove dimostrino di aver perso una possibilità dì guadagno a causa della mancata promozione di detta offerta».
«La circostanza che l’ordinamento […] abbia predisposto anche un sistema di sanzioni civili, consistente nella sterilizzazione del voto e nell’obbligo di rivendita entro l’anno delle azioni eccedenti la soglia del 30% del capitale, non basta di per sé sola ad escludere l’applicazione dei principi generali vigenti in tema dì inadempimento e risarcimento del danno.
Quelle sanzioni hanno, in primo luogo, una valenza deterrente, giacché unitamente alle sanzioni penali ed amministrative cui pure dianzi s’è fatto cenno mirano a scoraggiare l’acquisizione di un controllo azionario che, ove l’obbligo di offerta pubblica non sia rispettato, rischierebbe di rivelarsi per l’acquirente inutile ed addirittura svantaggioso. Ma è evidente che il diritto al risarcimento del danno spettante a chi abbia visto illegittimamente pregiudicato un interesse soggettivo tutelato dalla normativa, pur se di fatto può anch’esso concorrere ad esercitare una funzione deterrente, si pone su un piano diverso: perché è nel risarcimento e non nelle sanzioni che la lesione di quell’interesse trova riparo.
Se taluno, incurante del rischio d’incorrere nelle sanzioni sopra menzionate, o confidando nella possibilità di eluderle in qualche modo, viola l’obbligo di promuovere l’offerta pubblica, pur versando in una situazione che glie lo imporrebbe, non v’è dunque ragione per negare il diritto al risarcimento in favore di coloro nei confronti dei quali la prestazione inadempiuta avrebbe dovuto essere resa. […]
Non è l’effettivo conseguimento del controllo della società a costituire il presupposto perché sorgano l’obbligo dì promuovere l’offerta pubblica ed il correlativo diritto degli interessati a vedersela proporre, bensì il mero fatto che taluno abbia acquistato azioni in misura superiore all’anzidetta soglia del 30%, in presenza delle condizioni indicate nel citato art. 106, ed abbia pagato per tali azioni un prezzo superiore a quello corrente di mercato. Come s’è già ricordato, nella sua discrezionalità il legislatore ha ritenuto che di questo maggior prezzo anche gli altri azionisti debbano potere (almeno in qualche misura) beneficiare, e ciò si realizza appunto dando loro l’opportunità di vendere le azioni di cui sono titolari a condizioni migliori di quelle che il mercato altrimenti consentirebbe. […] Quel che rileva è il prezzo al quale l’azionista può vendere le proprie azioni: la maggiorazione di t[ale prezzo, per effetto dell’offerta pubblica obbligatoria, è, come detto, conseguenza unicamente del surplus pagato dall’offerente per acquistare un pacchetto azionario che, al momento in cui l’acquisto avviene, il legislatore presume idoneo al conseguimento del controllo.
[…]
L’azionista di minoranza che si sia visto illegittimamente privato della possibilità di aderire ad un’offerta di acquisto delle sue azioni – offerta in realtà non proposta – ha quindi il diritto di ottenere il risarcimento del danno subito. Danno che, peraltro, pare arbitrario far coincidere in modo necessario ed automatico con il risultato economico della vendita azionaria che si sarebbe verificata se l’offerta vi fosse stata e fosse stata accettata, perché un conto è la possibilità di stipulare un contratto altro conto è l’averlo effettivamente stipulato.
La lesione subita, in simili casi, consiste nell’aver perso una possibilità (o, come potrebbe anche dirsi con terminologia forse più vicina al mondo dei mercati finanziari, un’opzione d’acquisto) che l’offerta pubblica avrebbe dovuto assicurare e che, proprio in quanto l’offerta non v’è stata, non è mai invece venuta ad esistenza. Si tratta, per le ragioni già ampiamente illustrate, non di una mera aspettativa di fatto, ma di un interesse giuridicamente protetto che ha ad oggetto un’entità patrimoniale a sé stante, suscettibile di autonoma valutazione economica , fermo restando che grava sul danneggiato l’onere di provare gli elementi in base ai quali possa riconoscersi a quell’opzione un valore economico effettivo, in relazione ai diversi fattori che possono aver influenzato l’andamento della quotazione di borsa delle azioni di cui si discute nel periodo considerato, tenendo conto dei criteri di determinazione del prezzo dell’offerta pubblica obbligatoria che avrebbe dovuto esser promossa».
Cassazion civile, sez. I, 10 agosto 2012, n.14392