Corte di Giustizia UE, 14 maggio 2019, C. 61/19
Gli Stati membri devono introdurre l’obbligo per i datori di lavoro di istituire un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero
La Direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro e la direttiva sulla sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro Direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro, ostano ad una normativa che non imponga ai datori di lavoro l’obbligo di istituire un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore.
La Corte sottolinea innanzitutto l’importanza del diritto fondamentale di ciascun lavoratore a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornaliero e settimanale, sancito nella Carta, e il cui contenuto è precisato dalla direttiva sull’orario di lavoro. Gli Stati membri sono tenuti a far beneficiare effettivamente i lavoratori dei diritti che sono stati loro conferiti, senza che le modalità concrete scelte per garantire l’attuazione della direttiva possano svuotare di contenuto tali diritti. La Corte ricorda a detto proposito che il lavoratore dev’essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di imporgli una restrizione dei suoi diritti.
La Corte rileva che, in assenza di un sistema che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore, non c’è modo di stabilire con oggettività e affidabilità né il numero di ore di lavoro svolte e la loro ripartizione nel tempo né il numero delle ore di lavoro straordinario, il che rende eccessivamente difficile per i lavoratori, se non impossibile in pratica, far rispettare i loro diritti.
La determinazione oggettiva e affidabile del numero di ore di lavoro giornaliero e settimanale è infatti essenziale per stabilire se la durata massima settimanale di lavoro comprendente le ore di lavoro straordinario e i periodo minimi di riposo giornaliero e settimanale sono stati rispettati. Per la Corte, dunque, una normativa nazionale che non prevede l’obbligo di ricorrere a uno strumento che consente tale determinazione non è idonea a garantire l’effetto utile dei diritti conferiti dalla Carta e dalla direttiva sull’orario di lavoro, poiché essa priva sia i datori di lavoro sia i lavoratori della possibilità di verificare se tali diritti sono rispettati. Una tale normativa potrebbe quindi compromettere l’obiettivo della direttiva consistente nel garantire una migliore protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, e ciò indipendentemente dalla durata massima dell’orario settimanale di lavoro fissata dal diritto nazionale. Per contro, un sistema di registrazione dell’orario di lavoro offre ai lavoratori uno strumento particolarmente efficace per accedere in modo agevole a dati obiettivi e affidabili relativi alla durata effettiva del lavoro realizzato, il che facilita tanto la prova, per tali lavoratori, di una violazione dei loro diritti quanto il controllo da parte delle autorità e dei giudici nazionali competenti del rispetto effettivo dei diritti in parola.
Di conseguenza, al fine di assicurare l’effetto utile dei diritti previsti dalla direttiva sull’orario di lavoro e dalla Carta, gli Stati membri devono imporre ai datori di lavoro l’obbligo di istituire un sistema oggettivo, affidabile e accessibile che consenta la misurazione della durata dell’orario di lavoro giornaliero svolto da ciascun lavoratore. Spetta agli Stati membri definire le modalità concrete di attuazione di un siffatto sistema, in particolare la forma che esso deve assumere, tenendo conto, se del caso, delle specificità proprie di ogni settore di attività interessato, e altresì delle particolarità, in special modo, delle dimensioni di talune imprese.
Corte di Giustizia UE, 14 maggio 2019, C. 61/19