In tema di pensione di reversibilità, a norma dell’art. 1, comma 41 della Legge 335/1995 in caso di presenza di figli di minori età, studenti, ovvero inabili, l’aliquota percentuale della pensione è elevata al 70 per cento (limitatamente alle pensioni ai superstiti aventi decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge stessa).
Detta norma prevede inoltre dei limiti agli importi dei trattamenti pensionistici reversibili ai superstiti nel caso in cui il beneficiario sia già percettore di redditi (tabella F), limiti che tuttavia non si applicano qualora il beneficiario faccia parte di un nucleo familiare con figli di minore età, studenti ovvero inabili.
“Da ciò consegue” – osserva la Corte – “che sul piano testuale la condizione di studente che rileva ai fini della esclusione dei limiti di cumulabilità dei redditi del beneficiario sia la medesima dettata dalla disciplina del trattamento pensionistico a favore dei superstiti ai fini dell’individuazione delle figure di beneficiari della pensione di reversibilità”.
E pertanto secondo quanto disposto dall’art. 21 comma della L. 903/1965 per figli “studenti” si devono intendere i soggetti di età fino ai 21 anni qualora frequentino una scuola media o professionale e per tutta la durata del corso legale, nonché fino al 26° anno di età, qualora frequentino l’Università.
Ma cosa deve intendersi per “scuola media o professionale”?
La Corte ha respinto la tesi dell’INPS, ritenuta troppo restrittiva, secondo cui il riferimento sarebbe esclusivamente ad istituti scolastici pubblici o ad essi equiparabili, in quanto “non in linea con il dettato normativo, interpretato alla luce della fondamentale ratio solidaristica sottesa all’istituto in oggetto (ribadita di recente dalla sentenza n.174/2016 della Corte Cost.) e dell’esigenza di garantire il diritto allo studio (costantemente affermata in materia dalla Corte Cost. con le sentenze nn. 274/1993, 406/1994, 42/1999)”.
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“Non vi è infatti valido motivo per non riconoscere la stessa prestazione, e dunque anche il superamento della disciplina sulla cumulabilità dei redditi, quando il giovane studente (non ultraventunenne) dimostri la frequenza di un istituto superiore (pubblico o privato) per il recupero di un anno scolastico perso e per la preparazione degli esami di maturità, come nel caso di specie. Va infatti considerato come la stessa legge garantisca allo studente la corresponsione del trattamento di reversibilità fino a 21 anni, senza richiedere che la sua frequenza sia rispettosa della durata del corso legale. Talché se si seguisse l’interpretazione proposta dall’INPS lo studente non ultraventunenne avrebbe, illogicamente, diritto alla prestazione se si fosse limitato a ripetere l’anno perso presso un istituto pubblico o parificato. Mentre, in antitesi con i più elementari canoni di equità, dovrebbe perdere il diritto al trattamento nell’ipotesi in cui abbia invece cercato di recuperare l’anno perso, frequentando un istituto di recupero e sostenendo a fine corso gli esami presso un istituto abilitato per conseguire il diploma con valore legale (o l’ammissione alla scuola pubblica)”.