Corte di giustizia UE, 10 maggio 2011, C. 147/08
Una pensione complementare di vecchiaia versata ad una persona legata ad un partner in un’unione civile, inferiore a quella concessa ad una persona sposata, può costituire una discriminazione fondata sulle tendenze sessuali
Tale ipotesi si verifica qualora l’unione civile sia riservata a persone dello stesso sesso e si trovi in una situazione di diritto e di fatto paragonabile a quella del matrimonio.
Il ricorrente, impiegato amministrativo dal 1950 fino al sopravvenire della sua incapacità lavorativa nel 1990, a partire dal 1969 ha vissuto ininterrottamente con il suo compagno con il quale ha concluso un’unione civile registrata conformemente alla legge tedesca del 16 febbraio 2001 sulle unioni civili registrate. Successivamente, egli ha chiesto che l’importo della sua pensione complementare di vecchiaia fosse ricalcolato applicando uno scaglione tributario più favorevole, corrispondente a quello applicato ai beneficiari coniugati.
Con lettera 10 dicembre 2001, la Città di Amburgo ha rifiutato di applicare lo scaglione tributario più favorevole per calcolare l’importo della pensione di vecchiaia dell’interessato, in quanto soltanto i beneficiari coniugati, non stabilmente separati, e quelli aventi diritto ad assegni familiari o ad altre prestazioni analoghe hanno diritto a tale beneficio.
Nella sua sentenza odierna, la Corte constata anzitutto che le pensioni complementari di vecchiaia – come quella oggetto della presente controversia – rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78.
La Corte ricorda poi, in primo luogo, che la constatazione di una discriminazione fondata sulle tendenze sessuali esige che le situazioni in questione siano paragonabili, con specifico e concreto riferimento alla prestazione di cui trattasi.
Al riguardo, la Corte osserva che la legge tedesca sulle unioni civili registrate ha introdotto, per le persone dello stesso sesso, l’istituto dell’unione civile, scegliendo di precludere a tali persone il matrimonio, che resta riservato alle sole persone di sesso diverso. A seguito del progressivo ravvicinamento del regime dell’unione civile a quello del matrimonio, non esiste più, ad avviso del giudice del rinvio, nell’ordinamento giuridico tedesco, alcuna differenza giuridica di rilievo tra questi due status personali. Infatti, la principale differenza che ancora permane consiste nel fatto che il matrimonio presuppone che i coniugi siano di sesso diverso, mentre l’unione civile registrata esige che i partner abbiano il medesimo sesso.
Orbene, nel caso di specie, il beneficio della pensione complementare di vecchiaia presuppone non soltanto che il partner sia sposato, ma anche che egli non sia stabilmente separato dal suo coniuge, in quanto tale pensione mira a procurare un reddito sostitutivo a vantaggio dell’interessato e, indirettamente, delle persone che vivono con lui.
A questo proposito, la Corte sottolinea che la legge tedesca sulle unioni civili registrate stabilisce che i partner dell’unione civile hanno l’obbligo reciproco di prestarsi soccorso e assistenza nonché quello di contribuire in maniera adeguata ai bisogni della comunità partenariale mediante il loro lavoro e il loro patrimonio, così come è previsto anche per i coniugi nel corso della loro vita in comune. Pertanto, a giudizio della Corte, i medesimi obblighi gravano sui partner dell’unione civile così come sui coniugi. Ne consegue che le due situazioni sono paragonabili.
In secondo luogo, la Corte constata che, per quanto riguarda il criterio attinente ad un trattamento meno favorevole fondato sulle tendenze sessuali, risulta che la pensione del ricorrente sarebbe stata aumentata qualora egli, anziché contrarre un’unione civile registrata con un uomo, si fosse sposato. Per di più, il trattamento più favorevole non è collegato né ai redditi dei componenti l’unione civile, né all’esistenza di figli, né ad altri elementi come quelli riguardanti i bisogni economici del partner. Inoltre, la Corte rileva che i contributi dovuti dal ricorrente in rapporto alla pensione non erano in alcun modo correlati al suo stato civile, dal momento che egli era tenuto a contribuire alle spese pensionistiche versando una quota pari a quella dei suoi colleghi coniugati.
Infine, per quanto riguarda gli effetti di una discriminazione fondata sulle tendenze sessuali, la Corte precisa, da un lato, che, a motivo del primato del diritto dell’Unione, il diritto alla parità di trattamento può essere rivendicato da un singolo nei confronti di un ente locale senza necessità di attendere che il legislatore nazionale renda la disposizione in questione conforme al diritto dell’Unione. Dall’altro lato, la Corte puntualizza che il diritto alla parità di trattamento può essere rivendicato da un singolo soltanto dopo la scadenza del termine di trasposizione della citata direttiva, ossia a partire dal 3 dicembre 2003.
Corte di giustizia UE, 10 maggio 2011, C. 147/08