I crediti contributivi relativi a tutte le categorie di liberi professionisti si prescrivono in 5 anni. Le vecchie discipline speciali delle varie categorie professionali sono abrogate dalla disciplina generale introdotta con la l. n. 335/1995.
In materia di prescrizione del diritto degli enti previdenziali ai contributi dovuti dai lavoratori e dai datori di lavoro, con sentenza della Cassazione civile, sez. lavoro n. 19334/2003 è stato affermato che l’art. 3, comma 9, della legge n. 335 del 1995, prevedendo che le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono in dieci anni per quelle di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie – termine ridotto a cinque anni con decorrenza 1 gennaio 1996 (lettera a) – e in cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria (lettera b), ha regolato l’intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali, con conseguente abrogazione, ai sensi dell’art. 15 disp. prel. cod. proc. civ., per assorbimento, delle previgenti discipline differenziate.
Ne consegue che è venuta meno la connotazione di specialità in precedenza sussistente per i vari ordinamenti previdenziali.
Tale principio è stato ribadito dalle sentenze n. 26621 del 13 febbraio 2006, n. 24910 del 29 novembre 2007, n. 14864 del 6 luglio 2011, con specifico riferimento ai crediti contributivi dell’INARCASSA, per i quali è stato ritenuto che dovesse essere applicata la nuova normativa, diversamente da quanto sostenuto dal predetto ente previdenziale, secondo cui doveva continuare ad applicarsi la norma speciale di cui all’art. 18 della legge n. 6 del 1981 e la prescrizione decennale ivi prevista.
La Suprema Corte, in varie occasioni, ha avuto modo di pronunciarsi nel senso dell’applicabilità del nono comma dell’art. 3 cit. ad un vario gruppo di sistemi previdenziali categoriali cosicché, anche nella fattispecie, il Collegio ha ritenuto di dover dare seguito al suddetto orientamento atteso che il tenore della disposizione di cui alla legge n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 non lascia spazio ad interpretazioni diverse.
È chiaro che il legislatore ha inteso regolare l’intera materia della prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali, con riferimento a tutte le forme di previdenza obbligatoria, comprese quelle per i liberi professionisti.
Infatti la previsione di cui alla lettera b), riferita a “tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”, è onnicomprensiva e non lascia fuori nessuna forma di previdenza obbligatoria neppure quelle relative ai liberi professionisti.
Neppure il processo di privatizzazione delle Casse dei liberi professionisti ed il relativo regime di autofinanziamento possono indurre a conclusioni diverse, stante la chiara lettera della legge, e ciò nonostante le ripercussioni negative che un termine prescrizionali quinquennale potrebbe comportare sui risultati di bilancio degli enti previdenziali ed il vantaggio che ricaverebbero da un termine di prescrizione ridotto i professionisti non adempienti all’obbligo contributivo.
Trattasi di questioni che concernono profili, in verità di scarsa rilevanza, tutti superati dalla decisiva circostanza che il testo normativo non contiene limitazioni di sorta. Nessuna deroga, in particolare, è prevista dalla norma per gli enti previdenziali c.d. “privatizzati”, in quanto il D. Lgs. n. 509 del 1994, mentre ha mutato la natura giuridica delle Casse, trasformandole in enti privati, nulla ha innovato in ordine al rapporto previdenziale tra l’ente e gli iscritti, che resta assoggettato agli stessi principi ed alle stesse regole della previdenza obbligatoria, con le particolarità previste dalla legge n. 335/1995.
Cassazione civile, sez. lavoro, 20 febbraio 2014, n. 4050