Procreazione assistita: no a due madri. La procreazione assistita è rimedio alla sterilità e non modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa al concepimento naturale
A norma dell’art. 5 della Legge 40/2004 hanno accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.
Ne consegue che una sola persona della coppia avente accesso alla procreazione assistita ha diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico e/o genetico con il nato. Tale restrizione è attualmente vigente all’interno dell’ordinamento italiano e, dunque, applicabile agli atti di nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo dove sia avvenuta la pratica fecondativa.
Nella fattispecie è stata quindi respinta la richiesta avanzata da due donne di vedersi indicate entrambe come madri, l’una come genitrice biologica e l’altra come genitrice intenzionale.
I motivi posti dai Giudici della Cassazione alla base del diniego si fondano altresì sulla considerazione che il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, come previsto dall’art. 1 della Legge 40/2004 si giustifica quale “rimedio alla sterilità o alla infertilità umana avente una causa patologica e non altrimenti rimovibile” per cui va escluso che «la procreazione medicalmente assistita possa rappresentare una modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione delle persone interessate».
Inoltre, è stato osservato, «la legge prevede una serie di limitazioni di ordine soggettivo all’accesso alla procreazione medicalmente assistita, alla cui radice si colloca il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo familiare riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre».