Cassazione penale, sez. VI, 10 luglio 2008, n. 28720
Il possesso di quasi un etto di hashish (per la precisione 97 grammi nel caso di specie) può non essere sufficiente di per se a giustificare la condanna per il reato di cui all’art. 73 del DPR 309/90 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope) qualora l’imputato sia un adepto della religione rastafariana.
Detta norma al secondo comma lettera a) prevede e punisce la detenzione illecita di sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità – in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con decreto del Ministeriale – ovvero per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell’azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale.
Malgrado la rilevante quantità di stupefacente rinvenuta, utile al confezionamento di settanta dosi droganti, nella sentenza di condanna non era stato tenuto conto né della condotta dell’imputato – che consegnò spontaneamente ai carabinieri una busta contenente la marijuana sfusa, precisando subito che il possesso di tale erba era da lui destinato ad esclusivo uso personale, secondo la pratica suggerita dalla religione rastafariana di cui si era detto adepto – né del fatto che tale religione prevede per i suoi adepti l’uso quotidiano dell’ “erba sacra” da consumare da soli fino a 10 grammi al giorno.
Osserva la Suprema Corte in proposito «Non sfugge infatti che, secondo le notizie relative alle caratteristiche comportamentali degli adepti di tale religione di origine ebraica, la marijuana non è utilizzata solo come erba medicinale, ma anche come “erba meditativa” come tale possibile apportatrice dello stato psicofisico inteso alla contemplazione nella preghiera, nel ricordo e nella credenza che “la erba sacra” sia cresciuta sulla tomba di re Salomone, chiamato il Re saggio e da esso ne tragga la forza, come si evince da notizie di testi che indicano le caratteristiche di detta religione».
La VI sezione penale ha pertanto accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata per difetto motivazionale con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze per un nuovo giudizio, invitando i giudici di merito a rivalutare l’intera vicenda andando oltre il mero dato ponderale della sostanza rinvenuta ovvero ad aver conto non solo della quantità ma anche delle circostanze di tempo, luogo e modalità di rinvenimento dello stupefacente, al fine di valutare l’effettiva possibilità che lo stesso fosse detenuto per finalità di uso personale e non di spaccio.
Cassazione penale, sez. VI, 10 luglio 2008, n. 28720