Cassazione civile, sez. I, 5 marzo 2014, n. 5105
Con la pronuncia in oggetto, in conformità a quanto deciso da Cass. civ. n. 5718/2004, la Suprema Corte di Cassazione chiarisce che in caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge, la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art. 1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata né superata con la diligenza richiesta al debitore.
Sulla base di tali premesse, il Collegio di legittimità ritiene, dunque, che non possano condividersi le difese dei ricorrenti, già condannati dal Giudice del gravame a risarcire la società che avevano precedentemente amministrato, per non aver correttamente adempiuto ai propri doveri a causa della ritenuta sussistente carenza di liquidità di essa.
In merito, infatti, gli Ermellini accertano che non è stata data adeguata prova della situazione di dissesto in cui versava la società, situazione, comunque, considerata non idonea a giustificare il mancato pagamento delle imposte dovute all’Erario, e che i ricorrenti hanno omesso di convocare l’assemblea per deliberare l’aumento del capitale sociale o, altrimenti, per proporre la liquidazione della società, come invece avrebbero dovuto fare.
Pertanto, dal momento che essi si sono limitati a lamentare la mancata ammissione di CTU, senza aver previamente indicato il preciso atto processuale nel quale era stata fatta la relativa richiesta, e non hanno dimostrato il nesso di causalità tra l’errore addebitato al giudice e la pronuncia emessa in concreto che senza quell’errore sarebbe stata diversa, i Supremi Giudici ritengono non fondate le loro pretese di giustizia, non potendo la carenza di liquidità essere ritenuta ostativa di quel comportamento ritenuto doveroso nella sentenza impugnata.
Cassazione civile, sez. I, 5 marzo 2014, n. 5105